mercoledì 21 aprile 2010

Grovigli

Domenica, al mercatino di Piazza Mazzini (si devono chiamare «mercatini antiquari», o «mercatini artigianali», il diminutivo è obbligatorio, anche se sono grandi metti un paio di ettari e se hanno poco di antiquario e niente di artigianale) c’era una bancarella defilata, cioè di serie B, vale a dire segregata nelle enclave del giardino circolare, con fontana e lecci, che occupa il centro della Piazza dove andavo a giocare da bambino. Questa bancarella, assai scrausa et dimessa, esibiva merci raccogliticce, giocattolini, giornaletti andanti, come vecchi numeri di Topolino, qualche segretissimo, giallacci da niente, eccetera. Osservavo questa roba, poco interessato. Difficile che in questi mercatini romani si possa trovare qualcosa di interessante, di veramente bello, raro. E se c’è, costa molto. Ammazzavo il tempo mentre aspettavo che A. finisse metodica il suo giro. Lei si ferma ai banchi dove io tiro dritto, quelli con i gioielli antichi, e gli orologi, le pipe di schiuma, le teiere d’argento Anni Trenta, le statuette art déco assieme a tanta, tantissima paccottiglia che serve a fare massa. Il mio banco vendeva anche libri d’occasione, ma non c’era un solo titolo che avesse per me una qualche attrattiva: autori e libri dimenticati o mai emersi, magari belli, ma di cui non sapevo nulla. Poi, da una certa distanza, vedo che in tre o quattro scatoloni di plastica luccicano al sole dei grovigli di qualcosa: sembrano cestoni pieni di insetti di acciaio e invece sono forbicine. Ci metto un po’ a capire che si tratta di forbici sequestrate negli aeroporti, quando ancora non si aveva ben impresso nella mente il principio secondo il quale Non Si Può Prendere Un Aereo Con Delle Forbicine e si dimenticavano in borsa. Ce n’è di tutti i tipi. Provo a estrarne una dal mucchio, ma ogni forbice è incastrata strettamente con le altre e ne viene su un groppo. Sono taglienti, opache, sporche di polvere, alcune presentano tracce di ossidazione. Sono sottili, larghe, a punta, dritte, ricurve, acuminate, arrotondate, con impugnatura larga, stretta, di plastica, dorata. Sono repellenti, orribili, pericolose. Penso alle mani e ai piedi umani su cui hanno operato e mi viene da vomitare. Mi rammentano i mucchi di effetti personali accatastati nei musei dei lager nazisti. Cose qualsiasi, cose che servono, che costano poco, che ciascuno si compra e ricompra per sé, cose insomma intime, che si perdono. E mi vengono pure in mente quei grovigli di granchi vivi, che si muovono lentamente nelle secchie de plastica lungo i carugi di Genova.

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