CARPA_1
In principio fu Leo. Poi, ma solo molto tempo dopo che se n’erano andati gli Abruzzesi, comparve l’acquario. Adesso c’è la Carpa. Leo era un cane agile et bello, a pelo corto, nero dello stesso nero del garage. Si considerava l’addetto all’identificazione di chi entrava/usciva. Non sbagliava mai, riconosceva il rumore del Motore Amico, riconosceva il cliente quando ancora stava scendendo sulla rampa. Se eri Amico ti faceva le feste, se no abbaiava et ringhiava. Un lavoro faticoso, importante, ma era un cane libero, usciva e entrava dal garage ogni volta che ne aveva voglia, lo si incontrava in giro che annusava con scrupolo ogni angolo di marciapiedi, inseguiva gatti e faceva altre cose di stampo prettamente canino.
Ma la cordialità festosa che ti dimostrava dentro il garage era completamente assente quando lo incontravi fuori.
Fuori del garage Leo non ti si filava de pezza, al massimo ti dava un’annusatina amichevole e poi filava via veloce. Insomma la sua era una cordialità professionale, era lavoro e non, come pensavamo noi, affetto. Col tempo divenne sempre più introverso, non gliene fregava più niente di niente, passava le giornate nel buio, nero su nero, sotto qualche automobile.
Leo s’è fatte viecchie, dicevano gli Abruzzesi.
Poi venne il Rumeno dagli occhi di ghiaccio, seguito da altri rumeni suoi amici e parenti. Lavorarono per un po’ nel garage come manovratori di automobili, per via che uno dei due Abruzzesi era ormai sempre ubriaco e l’altro faceva il tassista e il vecchio, cioè l’Abruzzese con Sandali e Sigaro Toscano, se ne andava in pensione. Poi lo presero in gestione.
Leo, che ormai si muoveva appena, un giorno sparì.
È andato a morire da qualche parte, disse il Rumeno.
Da quel giorno niente più cani nel garage. Poi sul davanzale del finestrone che dà sulla rampa comparve un piccolo acquario. Vi nuotavano pescetti nella penombra, vi si formavano alghe verdi che ne oscuravano la vista. Poi si ruppe il meccanismo di ossigenazione dell’acqua, come pare sempre accada a tutti gli acquari, e i pescetti tristi e dimenticati schiattarono nella penombra.
Mi venne in mente Il pesce rosso segreto, splendido racconto di David Means, dove un pesce rosso assiste, dimenticato anche lui per anni nella sua vasca di acqua sporca, ai drammi di una famiglia.
Restando l’acquario vuoto e senza pesci, completamente incongruo nel contesto del garage, non vi feci più caso, finché qualche giorno fa, mentre mettevo via il casco nel bauletto della moto, vidi che era stato riempito di nuovo e dentro c’era la Carpa. Una grossa carpa che faceva fatica a rigirarsi e respirava affannosa, benché il meccanismo di ossigenazione dell’acqua funzionasse di nuovo.
Loro respirano così, disse il Rumeno dagli occhi di ghiaccio, me l’ha portata un amico che l’ha pescata in un laghetto sull’Aurelia: la vuole?
Cosa, la carpa?
Sì.
E che ci devo fare?
Boh, non so… volevamo liberarla, ma dove?
Al lago di Villa Borghese, lì è pieno di carpe.
Insomma la Carpa è ancora lì e secondo me ci resterà. Comincerà a riconoscere le macchine amiche, ma non avrà modo di segnalare gli estranei. Però le carpe vivono più dei cani: tra trent’anni sarà enorme, nuoterà in un vasca enorme, mangerà quarti di bue, frattaglie, esseri umani interi, croccanti.
Ieri, all’una di notte, siamo passati a darle un’occhiata: era lì nel buio che muoveva affannosamente le branchie, come le mancasse l’acqua per respirare.
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