lunedì 1 marzo 2010

Carni

Appunti di lettura dal libro di versi Macello, di Ivano Ferrari, Einaudi 2004. Se è vero che, non potendo acquisire proteine in altro modo, ancora per qualche tempo avremo bisogno di allevare animali «da carne», è anche vero che il fatto di doverli allevare per ucciderli non implica automaticamente la loro sofferenza. In altre parole, forse abbiamo bisogno dei loro tessuti muscolari, dei loro grassi, ma non ci serve anche la loro sofferenza e nemmeno possiamo considerarla come un inevitabile effetto collaterale dell’intero ciclo concentrazionario cui sottoponiamo gli animali «da carne»: nascita, crescita, morte programmata, smembramento del corpo, separazione del mangiabile dall'immangiabile, riuso degli scarti di lavorazione, ingestione del mangiabile, digestione, defecazione dei residui. Nel loro destino c’è un passaggio finale nel nostro corpo, al quale cederanno le proteine e i grassi che si sono costruiti, apparentemente per sé, durante la crescita. Il passaggio finale nelle nostre viscere costituisce lo scopo per il quale li facciamo nascere e crescere. In pratica è lo scopo del loro esserci preso di noi, della loro intera esistenza. Alcune specie animali «da carne» le facciamo crescere nella sofferenza assoluta di sterminati e terrificanti lager (si pensi ai polli ai tacchini ai maiali) dei quali tutti noi che ci diciamo civili, tutti noi che ci mostriamo così preoccupati delle sorti dell’uomo, tutti noi che odiamo la violenza, che amiamo la libertà, che coccoliamo il nostro animale domestico, facciamo finta di ignorare l’esistenza. E poi tutti questi animali li facciamo morire con non-curanza nell’orrore dei mattatoi, nella sporcizia, nel terrore e nella consapevolezza della morte imminente: qualcuno ci ha insegnato, sin da piccoli, che loro sono inferiori, che esistono per noi, che verso di loro non abbiamo alcun obbligo morale, che dunque possiamo cacciarli, allevarli, massacrarli più o meno a nostro piacimento. È così che il pollo, il maiale, il manzo, il coniglio, l’agnello, il tacchino, eccetera, li consideriamo solo come sotto-categorie della più ampia categoria merceologica «carni», solo come componenti della nostra dieta e dobbiamo fare uno sforzo di immaginazione per vederle anche come creature complesse, un tempo vive. La carne che ho nel congelatore avrà pure vissuto una sua vita, un’esistenza con una sua storia, con sue emozioni, una vita, anche se ridotta al minimo, anche se troncata nel momento stesso in cui la creatura cui apparteneva ha raggiunto lo status biologico per essere macellata, cioè uccisa e poi appesa a un gancio, a dissanguarsi a testa in giù.

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