mercoledì 5 maggio 2010

Appunti dall'isola_1

L’avevo visto ieri sera, da lontano, uscire in mare col caicco piccolo che si è comprato da qualche anno. Sono arrivato l’altro ieri e ancora non sono andato a salutarlo. Con lui non è facile parlare. Ci sente poco, pochissimo. È la sordità che ti viene se hai passato la vita nel vento e nel freddo. Una cosa che succede ai timpani quando li strapazzi per troppo tempo. Ma lui ha passato gli ottant’anni e ci vede anche poco, tuttavia va regolarmente a pesca. Non che ne abbia bisogno, ci va per non annoiarsi a morte seduto al caffè. Ci va per non passare la giornata a leggere libri su libri, giornali, qualsiasi cosa. Ci va perché lo sa fare bene. Oggi verso le sette stavo facendo colazione sulla loggia e l’ho visto arrivare. La giornata è bellissima, il mare calmo, c’è un vento leggero di nord-est, un po’ freddo, ma siamo in maggio. Lui fa una manovra perfetta: punta la prua diritta sul molo, innesta la retromarcia, da un colpo di timone e si affianca dolcemente alla banchina, proprio nel punto dove c’è la scaletta. Traffica un po’, poi inizia a lavorare alla rete. Vedo arrivare due o tre gatti che si piazzano proprio lì, seduti sul battuto di cemento in attesa di qualche boccone. Decido di andare a salutarlo. Tutt’intorno è il silenzio totale, o quasi: se qualcuno dentro una casa all’altro capo del villaggio starnutisce, lo senti: si sentono i compressori dei frigoriferi che ripartono ciclicamente, qualche gallo, la leggerissima risacca delle ondine di brezza sulla spiaggia di ciottoli, piccioni, ora anche un gabbiano che strilla in rada. È seduto a prua e sta estraendo un tedesco dalla rete: lo fa con attenzione, il tedesco è un pesce pieno di spine, grigio, compatto e temibile come un tank: per questo lo chiamano così: l’ho visto pescare solo qui, da noi non esiste. Gli dico Ciao a voce alta. Riesco a farmi sentire, si gira, è sorpreso, non sorride, dice Come stai, che fai, eccetera. Parliamo in italiano, come al solito: lui lo conosce benissimo. È dimagrito, ha la barca piena di questi simil-barracuda lunghi una sesantina di centimetri, che qui chiamano luzi. Gli guardo le mani scure e grosse, tutte tagliuzzate come al solito, mentre compiono gesti che conosco bene. Mi dice subito che quest’anno è pieno di foche e delfini, Non si può pescare! Gli dico che starò qui un po’, sembra che non gliene freghi un cazzo e in effetti dev’essere proprio così: è un uomo difficile, imperscrutabile. L’altra versione della sua indifferenza è che ormai non sente più nulla di quello che gli si dice e per questo motivo non parla, non risponde. Gli voglio bene, per me è un maestro. Io so che è un maestro ma, anche qui, sono molti quelli che non lo sanno.

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