domenica 7 agosto 2005

Corsivi

Se fossi uno scrittore, invece che uno scrivente, non saprei bene di cosa scrivere e come scriverlo, però qualche idea generale me la sarei fatta. Comincerei con una serie di rifiuti. - Rifiuto di ogni spiritualismo, della psicanalisi, delle trascendenze, del fantastico, del fiabesco, del metaforico, dell’allegorico, del metafisico. - Rifiuto delle tematiche e delle problematiche amorose, soggettivistiche, afferenti l’IO e altri enti connessi, rifiuto dell’anima e della stessa parola anima. - Rifiuto del concetto di introspezione e di quello di analisi psicologica dei personaggi. - Rifiuto del concetto stesso di personaggio e sua sostituzione col concetto di figura. - Rifiuto del narratore onniscente che sa tutto quel che accade e lo centellina con “tecnica narrativa”: se è onniscente e conosce il destino delle sue figure, allora ci spiegasse, in primis, il perché e il percome del Mondo e dell’Universo, o almeno di quello da lui narrato. - Rifiuto di ogni trama, intreccio, eccetera, per un’aderenza all’incompletezza e alla strutturale mancanza di senso dell’esistenza e del suo svolgersi. - Rifiuto di narrare ciò che nasconde i rapporti di dominanza e sopraffazione, invece di mostrarli e tentare di svelarli. - Rifiuto di narrare esplicitamente ciò che nell’esistenza è implicito o incomprensibile, ciò di cui nessuno sa nulla di preciso. - Rifiuto del parlato brillante per intrattenere chi legge, se non strettamente necessario per connotare le figure. - Rifiuto della scrittura brillante e dello scrivere bene. - Eccetera. Invece mi applicherei per una scrittura fenomenica, aderente a quella che chiamiamo la realtà condivisa, con la sua caoticità e le sue incertezze, i suoi misteri, la sua confusione e insensatezza. Astensione da ogni giudizio morale, di qualsiasi tipo, afferente le figure di cui si narra e il loro agire. Aderire al linguaggio comune (ancora una volta, certo), evitare di pavoneggiarsi tramite esibizioni di cultura, o attribuendosi, tra le righe, pensosità, sensibilità, vigore intellettuale, rigore morale, o, peggio, ripeto, arrogandosi il giudizio su ciò di cui si narra. In definitiva forse l’unica cosa che, se fossi uno scrittore, conterebbe per me, sarebbero quel quantum, più o meno intenso ed esplicito, di sfruttamento e sopraffazione e silenziosa violenza che si annida nei rapporti tra umani, e tra gruppi e classi di umani. In ogni tipo di rapporto anche il più tenero e amoroso. In ogni tipo di politica, anche la più trasparente e idealistica. E soprattutto sarebbe importante per me scrivere in modo che si vedano i dominatori e i dominati. Non so.

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