lunedì 8 agosto 2005
I normanni
Tra il 1961 e il 1962 l’attore americano Cameron Mitchell (1914-1994) gira in Italia ben tre film di vichinghi:
L’ultimo dei vichinghi, di Franco Gentiluomo, Gli invasori di Mario Bava, in cui lavorano anche le gemelle Kessler, e I normanni, di Giuseppe Vari, nel 1962.
Io ho partecipato come comparsa ad uno di questi tre film, ma non so dire quale.
Nel 1957 Richard Fleischer aveva girato un filmone di vichinghi con Kirk Douglas e Tony Curtis, intitolato appunto I vichinghi, del quale ancora mi suggestiona, quando mi torna in mente, la colonna sonora basata su un paio di accordi di corno.
Noto a margine che nel 1969, o forse nel Settanta, o nel ’71, esisteva a Roma un notevole gruppo musicale, di quelli effimeri che si disintegrano e scompaiono dopo breve tempo, si chiamava The indifferent identification group, che aveva nel suo repertorio proprio il tema di quel film.
Così come Victor Cavallo aveva nel suo la canzoncina che Douglas canta in Ventimila leghe, per dire, cioè per associazione di idee.
Di quel film ho amato tutto e resta ancora oggi tra i miei preferiti.
Sulla scia del successo che ottenne, giustamente, il film di Fleischer, Cinecittà sfornò come d’abitudine una serie di infimi filmazzi de vichinghi, di cui almeno tre interpretati da Mitchell.
A quel tempo il cinema italiano era un’industria, con prodotti molto diversificati, che sfornava cinema popolare a fiotti, racchiuso nei cosiddetti filoni, tra i quali per un breve periodo si annoverò anche un Filone Vichingo.
Mi viene in mente tutto questo per via del curioso Il tredicesimo cavaliere, trasmesso ieri sera in tv con un levigato e incongruo Banderas, che è un film anch’esso di vichinghi e non è male.
Non avevo mai realizzato che al povero Cameron Mitchell - del quale ho sempre seguito la carriera dopo averlo visto duellare davanti alla macchina da presa vicino alla spiaggia di Tor Caldara, nei pressi di Roma - fosse toccata una simile corvée vichinga.
Noto a margine che Tor Caldara fu location preferita, quasi obbligatoria, per una quantità di spaghetti-western economici girati all’epoca, mentre quelli di qualche pretesa li giravano in Almeria.
Se vi andate a scorrere la filmografia di Mitchell attore scoprirete che ha interpretato tantissimi film, ma mai nessuno da protagonista, che io sappia.
Eppure a me è sempre piaciuto, e il motivo è probabilmente che ho “lavorato con lui”, ma non riesco a stabilire con esattezza in quale di questi tre film.
A quei tempi ai film italiani si cambiava spesso nome e il film di Bava, per esempio, uscì qualche anno dopo all’Adriano di Roma con l’atroce titolo Le due vichinghe.
Rimase in cartello qualche giorno, senza che riuscissi a vederlo, e sparì per sempre.
Magari è ricomparso in qualche nottata tv, ma vai a sapere quale.
Insomma, un giorno di quella lontana estate mio cugino viene sotto il mio ombrello piantato su una spiaggia del tirreno e mi dice: vieni domani a Tor Caldara a fare la comparsa in un film? E come ci andiamo, a Tor Caldara? Col pullman, caro, parte da piazza della stazione. Eccetera. È un film de vichinghi. Come si intitola? Boh. Chi ce lavora? Boh, ci danno quindici sacchi: io ci vado comunque.
Non so se esista niente di più noioso di veder girare un film, soprattutto se ci sei dentro e non te ne puoi andare.
Tutto si svolge lentissimamente, si prova e si riprova, si girano scene brevissime, spezzettate, incomprensibili, e tra una scena e l’altra ore e ore di attesa.
Ci avevano abbigliato di tutto punto da vichinghi e ci avevano messo in testa lunghe parrucche bionde.
Faceva molto caldo, sotto quel sole della metà del Novecento.
A mio cugino avevano messo pure una barba finta, folta, e lo tenevano sempre in prima fila, per via dell’alta statura e della faccia da assassino che ha sempre avuto.
Mi colpirono almeno due cose.
La prima erano i soldi che si spendevano anche solo per girare una puttanata come quella, alle porte di Roma: i nostri costumi erano di vera capra e vero cuoio per la cintura e sandali e le spade erano vere e così gli elmi e le corna degli elmi erano di bovino e il tutto puzzava discretamente, fermentando sotto il sole.
Ma ora finalmente, grazie ad una ricerca in rete, mi rendo conto che, se in un anno furono girati ben tre film a soggetto vichingo-normanno, è probabile che quel costoso materiale di scena dovette essere usato più volte, passando da una lavorazione all’altra.
Forse lo stesso Mitchel aveva un contratto per i tre film.
C’erano spogliatoi per le comparse, cestini, gente che girava con l’acqua, un pronto soccorso, eccetera.
Un sacco di gente, insomma, che si affaccendava sopra quel pianoro desolato, polveroso e intensamente mediterraneo, che avrebbe dovuto sembrare, forse, un tratto di costa scandinava.
A pensarci bene il film di Vari è probabile si riferisca all’invasione normanna dei territori italici del sud, per i quali una Tor Caldara affocata di sole andava benissimo: dunque forse si trattava del film di Vari.
Cameron coperto di cerone duellava stancamente, di fronte a noi vichinghi schierati sotto il sole a semi-cerchio.
Due o tre spadate e via, a sedere in poltroncina sotto un ombrellone.
Soprattutto era la sua contro-figura a darsi da fare nella calura, con le capriole e tutte le altre puttanate acrobatiche dei duelli cinematografici.
Nelle pause fumavamo qualche sigaretta.
All’epoca compravo le Stop sciolte.
Alla fine ci dettero pure, incredibilmente, le quindicimila lire senza battere ciglio.
La noia di quella giornata fu immensa, ma mio cugino, tenasce e avido, tornò anche i giorni successivi, partecipò a battaglie, guadagnò un sacco di soldi.
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