giovedì 8 settembre 2005
Sciami di opinioni
Forzarsi ogni giorno a tenere il punto, cioè un’idea, uno straccio, un frammento un barlume d’idea, sulle cose che accadono, sull’ambiente e sul tempo e la cultura in cui si vive, sui libri che si leggono, e sempre li lasci a metà, quando va bene, e i film che si vedono e la gente con cui si lavora e quella che si conosce e anche di quella con cui si passa magari il tempo per una cena, di solito troppo prolissa, con le chiappe che si addormentano sulla sedia e i bicchieri interminabili di vino-liquore-amaro e le tazzine di caffé che si susseguono e si accumulano nella pancia, stancamente, mentre i discorsi “tra adulti” si susseguono anch’essi, come si fa appunto tra gli “adulti” di cui tu fai parte, anche se vorresti a tutti gli effetti chiedere il permesso ed andare fuori a fare quattro passi, o di là a vedere la televisione assieme al ragazzino non sempre simpatico e cordiale che già da ore se ne sta stravaccato sonnolento davanti a qualche cartonaccio di juniortivvù e tu appunto da ore lo invidi per la sua libertà in quell’ora di relativo, ma per te del tutto inutile, tormento, mentre le chiappe sono diventate totalmente insensibili e le gambe formicolano e, se solo potessi, licenzieresti pure quella puzza che da tempo ti si agita dentro per uscire, come Alien nella pancia di John Hurt: e ti fa anche un po’ male.
Farsi un’idea di quello che ti sta dicendo la persona che ti siede di fronte, quella che ti ferma nel corridoio, alla macchina del caffè - “La cultura ci serve contro la natura”, e io sono d’accordo -, quella che incontri alle fotocopie, al bar, roba di lavoro per te forse importante, con conseguenze che ancora non sai, farsela, questa o quell’idea, tutti i giorni, per sapere cosa rispondere sul momento, cosa fare in seguito, che “linea” tenere, cosa scrivere a cosa dare la “priorità” (le cose da fare hanno un “grado di priorità”, capisci?), tutte le mattine valutare quello che c’è scritto sul giornale nelle e-mail di lavoro, sulle lettere, nei fax, sulle riviste, capire quello che dicono disegni e grafici, anche se se ne vedono sempre di meno, di disegni, anche se tutto si trasforma sempre di più in parole dette e scritte senza che il tratto, il gesto, il colore scelto da qualcuno possano colpirti lo sguardo tentando di sedurti e aggirandone il giudizio, accattivandosi i tuoi favori preventivamente, mentre anche qui provi invidia per qualche altra creatura, addirittura per le cornacchie che vedi oltre il vetro della finestra saltellare e becchettare, antipatiche e cattive, sui prati sotto i pini del parco dall’altra parte della strada, ma tra poco è notte e saranno sostituite da qualche marchettaro e qualche puttana non-bella con lo sguardo fisso annoiato stanco che pure rimedia lo stesso clienti nel pomeriggio, soli e arrapati poveracci, nelle loro automobili ferme sul ciglio o in mezzo alla strada, che chiedono quanto e ci pensano su.
Tenere testa al fiume di roba che ti investe, di notizie e opinioni e cosiddetti “fatti”, alla necessità di tenerli a bada, parcheggiati in attesa di giudizio, che fosse per te ne faresti volentieri a meno anche solo di sapere, di essere informato e connesso, ma sei in ballo e astenersi non è possibile, non vale, danneggia: ma come non lo sai? non leggi i giornali? non guardi la tv? Ogni giorno una certa quantità di opinione deve formartisi dentro, come la cacca, e deve uscire ben conformata, espulsa al momento opportuno, ragionevole e ponderata, calda croccante sicura spiritosa, nel gioco del dire senza dire, oppure del dire e non dire, o del dire il già detto, il già scritto, l’annunciato e il pensato altrove e da altri: attenzione a non improvvisare troppo, cautela nel dire qualcosa che somigli anche lontanamente a quello che pensi, ironia, certo, ma tenue, scherzare, sì, ma senza rischiare di ferire questo/a che ti sta di fronte in modo puramente casuale, che volentieri ne farebbe a meno, come te, d’altronde, tenersi sul leggero, meglio se sul generico, cazzeggiare astutamente facendoli ridere, insicuri e guardinghi come lo sei tu.
Tutta questa gente che viene instradata, si direbbe a forza, e deportata come te al mattino su questi viadotti, intrappolata a sospirare sugli svincoli e i raccordi, ascoltando Radiouno o Radiodue, eccetera, o Telesuonolibbero o Tutto il Calcio Istante per Istante, ventiquattrore su ventiquattro, o Radio Nena Urbana o Radio Santamaria Prega Per Noi, questi che sono costretti a venire qui e che si chiudono in questi edifici bianchi senza dettagli e decorazioni di sorta, oppure completamente di vetro, oppure che aspirano ad esserlo senza riuscirvi, lasciando fuori ammonticchiate in parcheggi abusivi le loro smart o gipponi scuri o mercedes e BMW metallizzate, argenteee come navette per il Paradiso pronte a partire, gente obbligata a stare assieme per almeno otto ore, che la vedi alla fila dell’una e mezza nei self service già completamente alienati, come te, alienati, donne scosciate e intrampolate su tacchi da travestito, coi lacci alle caviglie, i polpacci tonici che mostrano tendini stressati da scarpe e postura, le facce abbronzate come cuoio vecchio, rughe da troppo sole, sguardo che sfugge ovunque senza guardare nulla mentre raccontano le ferie fatte col marito e le creature, oppure da single con l’amica, o col fidanza, che sono andate così così e me sà che è la volta buona che lo mollo. Mentre loro, in maniche di camicia azzurra, i maschi voglio dire, che non mi viene a tutta prima di chiamarli uomini perché sembrano soldati, pantaloni antracite, scarpe nere o gialle, capo rasato e pizzo se del caso, rolex al polso, neri di sole, ascoltano distratti e fanno sì con la testa mentre con l’occhio seguono da lontano dove e con chi siedono i capi, oppure il discorso del vicino di fila, che inanella ipotesi tecniche su questo o quell’argomento di soldi, rogiti, di quantità, metri quadri e lineari, contratti, modelli, calcio, bankitalia: tu giudichi continuamente tutto questo, ogni giorno lo fai e storci la bocca, arricci il naso, ma davvero tu non sai chi sono, non sai nulla di loro, ti pensi diverso e migliore, talvolta li odi, ma davvero non ne sai niente e quelle donne ti piacciono, non penserai sul serio di distinguerti e identificarti per differenza da quelli, vero?
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