mercoledì 9 marzo 2005

Modernismi dell'Est

Visto tempo fa Good bye Lenin, film “carino & commovente” sulla caduta del Muro di Berlino e il socialismo in versione tedesca. Mi ritorna alla mente, assieme ad una certa snobistica nostalgia per gli apparati iconografici dei paesi socialisti, la questione dello stile del modernismo socialista. Non solo lo stile dei monumenti, ma lo stile delle cose, degli oggetti, delle case, delle automobili, degli utensili, eccetera. Rimpiango di non aver mai visitato un paese del blocco dell’est ai tempi del comunismo, cioè della “Cortina di ferro”. Se si eccettua una vacanza in Jugoslavia, dove peraltro ero in barca e il mio impatto con quel socialismo lo ebbi solo quando scendevo a terra a fare spesa (negozi semivuoti di merce, frutta bacata, latte solo in polvere, sacchetti di plastica che, sotto pesi irrisori e col caldo, si deformavano sino a sfondarsi, eccetera), mai ebbi modo di esperire direttamente la cultura materiale del collettivismo comunistico dell’Est. È una cultura apparentemente tutta racchiusa nel novecento. Dunque sembrerebbe una declinazione del modernismo novecentesco, una variante di un fenomeno molto ampio che convenzionalmente ha le radici ultime nella Rivoluzione Industriale, non so. A partire dal ’17 sembra di assistere ad un film di fantascienza, in cui sia consentito viaggiare in uno degli infiniti mondi possibili che continuamente, istante per istante, si presentano come uno sterminato ventaglio in alternativa al determinarsi del mondo e della storia. Cioè un mondo sì industriale, ma il senza capitale, senza il profitto, senza il mercato. Un mondo privo di tutte, o quasi, le leggi economiche che in occidente sembrano naturali e imprescindibili. E dotato, invece, di una gestione della società fondata su strutture decisionali partitiche e tutta imperniata sull’ideologia piuttosto che sulle esigenze di mercato, più il liberismo, più l’individualismo, eccetera, dominanti in Occidente. Insomma, una società industriale, non-democratica e non-borghese, in cui apparentemente non esiste la Conquista Individuale, se non all’interno, e col fine ufficiale, di una conquista collettiva. Non credo che questo sia un quadro molto realistico delle società sovietiche. Ma chi oggi si occupa di studiarle? Chi oggi vuole effettivamente capire come erano fatte e le cause reali della loro caduta? Non so, magari qualcuno ci sta lavorando, ma mentre tutti, a destra e sinistra, si affannano a urlare la nauseante cazzata che il comunismo era come il nazismo, nessuno che si ponga il problema di sapere effettivamente cosa fosse. E poi eventualmente, dirlo. Nemmeno i nostri comunisti, italiani o rifondati, si pongono davvero questa domanda. Nel mondo possibile in cui il proletariato ha preso il potere si producono oggetti di qualità bassa, se non bassissima, e dall’aspetto..., qui viene il difficile, ”scrauso”, direi in prima approssimazione. Le cose del mondo socialista non sembrano frutto di un’evoluzione autonoma e parallela, ma con fini diversi, a quella delle cose analoghe d’Occidente, ma ne sembrano piuttosto derivazioni e imitazioni di bassa qualità. Insomma a occhio e croce in cosa è consistito il modernismo nei paesi socialisti? Quale ne fu il significato? Per esempio, La vicenda del soffocamento delle avanguardie rivoluzionarie russe – e dei loro prodotti - è nota, ma cosa prese il posto di quelle esperienze, quale ne fu il lascito effettivo? Quale ne fu, essenzialmente, la natura iconica? Da dove derivava la forma di quegli oggetti? Questioni complicate e credo non-studiate a sufficienza. Queste domande investono in pieno le tre categorie portanti della cultura di massa del Secolo Ventesimo: Industria, Progresso, Moderno. In occidente ciò che è prodotto dell’industria non ha caratteristiche neutre, ma si deve caratterizzare come “nuovo” e possedere una tecnologia che sia più “avanzata” (cioè “migliore”) del modello precedente, o almeno deve sembrarlo. Dev’essere più economico ed efficiente. Dev’essere progressivo nel senso deve contribuire al generale benessere dell’uomo e situarsi in senso positivo lungo la freccia del tempo. Infine deve avere una forma corrispondente, cioè moderna, cioè “giusta nel tempo”. Tutte queste caratteristiche, e altre ancora, possono non essere reali - voglio dire che accade che siano solo messa in scena - ma devono quantomeno essere rappresentate esplicitamente nel prodotto, pena la non appetibilità e il fallimento commerciale. Insomma gli oggetti prodotti dall’industria d’Occidente giocano un ruolo decisivo nell’immaginazione della gente. Decisivo innanzi tutto per la loro sopravvivenza sul mercato. E decisivo per l’auto-implementazione dell’ideologia del progresso e della ricchezza per tutti, che sottende l’occidente capitalistico. La modernità che conosciamo, o che consideriamo tale (il concetto non è affatto chiaro, d’altronde), è dunque di solito una modernità di mercato. Che cioè misura la sua validità funzionale e di immagine - ed eventualmente la evolve - sul terreno della selezione di mercato. La società in cui viviamo si autoalimenta attraverso alcuni miti portanti basati su opposizioni concettuali quali appunto il Progresso/Reazione, il Moderno/Antico, il Vecchio/Nuovo, Avanguardia/Tradizione, Sviluppo/Stagnazione, eccetera. Ciò che è male è il persistere nel Superato, nel Sorpassato, eccetera, in una metafora globale di movimento in avanti che pervade tutta la società e in primo luogo l’arte: l’oggetto deve corrispondervi e alimentarli, in un inesauribile gioco al rilancio, al superamento, oggetto dopo oggetto, prodotto dopo prodotto. I prodotti socialisti non hanno mercato, dunque esistono in regime di monopolio: se lo vuoi è questo, se no ti arrangi. Dunque a rigor di logica non dovrebbero contenere alcun messaggio affidato alla forma, allo “stile”. E invece, dato che una forma devono pur averla e che, com’è ormai assodato non esiste una forma totalmente necessaria, questi oggetti sono intenzionalmente disegnati. Ma non sono disegnati come moderni, cioè “giusti nel tempo” e nel luogo, cioè congruenti col sistema produttivo e lo stato della tecnologia che li produce, ammesso che esistano oggetti così. Contengono piuttosto un messaggio modernista, cioè un voler sembrare più moderni di quello che effettivamente sono, più fichetti rispetto all’apparato produttivo da cui provengono. Ma la modernità non è un optional e chi “non ce l’ha non se la può dare”, per quanta buona volontà ci metta. In più, ma è un’affermazione azzardata, la modernità non sembra nemmeno scindibile dall’intero pacchetto che in effetti la genera: democrazia, libera scienza e libera ricerca, libero mercato, libertà di movimento e di espressione, eccetera. Voglio dire che non sembra separabile da un’intera serie di “libertà-di” a fronte delle fondamentali “libertà-da” perseguite dai sistemi socialisti. Moderni lo si può solo essere, non lo si può sembrare. Lo si può essere solo senza saperlo, che il voler essere moderni è un atteggiamento stilistico e lo stile perseguito deliberatamente è manierismo modernista, non modernità. Ecco allora che l’oggetto sovietico, nella sua smania di apparire non meno moderno dell’oggetto occidentale - con il quale certamente non si confronta sul mercato, ma del quale sono senza dubbio a conoscenza le élite tecniche - fa il possibile per darsi una veste avanzata. Ma non esistendo alcuna delle condizioni di fondo atte al manifestarsi di una modernità di mercato, l’oggetto sovietico finisce per assomigliare ad una cosa di fantascienza povera, a una cosa ideologicamente appartenente ad un futuro tutto di testa, convenzionale e non-vissuto giorno per giorno nel suo voler essere moderno & comunista, nel suo rinviare sé stesso a un domani che non è mai arrivato.

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