venerdì 29 aprile 2005

Dighe in Africa

Il mamba è cattivo davvero, ti viene incontro e ti ammazza. Conosco uno di un cantiere abbastanza vicino al mio - cioè, non ti credere chissà che vicinanza, sarà a un 400 chilometri di distanza, ma lì sono pochi –, insomma questo, con cui sono andato a pesca un paio di volte, un coglione sai, di quelli che siccome stanno in Africa allora si credono automaticamente il Cacciatore Bianco, eccetera. Di quelli che due giorni dopo che sono giù già c’hanno l’harem di negrette minorenni, fanno casino, si montano la testa, lasciano la moglie, prendono le malattie, magari pure l’AIDS. Rischiano guai grossi coi locali, che volentieri ti cedono la figlia, ma si aspettano vantaggi in cambio, soldi, lavoro, eccetera. Da me devo affrontare questioni del genere abbastanza spesso: si prendono la sedicenne locale, che in Africa è un’adulta a tutti gli effetti e di solito c’ha già uno o due figli, si tolgono lo sfizio per tre-quattro mesi e le fanno qualche regalino e poi la riportano al villaggio e la famiglia si incazza di brutto e minaccia rappresaglie al cantiere, mette in mezzo il prete missionario, vuole soldi e lavoro da noi. Insomma un casino tale che dopo qualche mese ho emesso un editto che proibisce al personale di tenere donne nel campo more uxorio. Alle otto del mattino tutte quelle che dormono nelle nostre baracche sono tenute a lasciare il campo. Possono rientrare solo alle sei di sera quando si stacca. Lì tutti hanno una specie di baracca con l’aria condizionata e queste ragazze nere restavano al campo tutta la giornata a fare un cazzo: litigavano, creavano tensioni tra il personale e facevano le troie in giro. Siamo più o meno un centocinquanta persone, sai. Gli addetti hai servizi, alla mensa, all’infermeria, eccetera, e quelli che lavorano in ufficio, si turbavano: insomma era una situazione difficile. Che andava governata e risolta. Sì, ti dicevo del mamba. Là ci sono un casino di serpenti velenosi, tutti molto pericolosi. Tanto che nel recinto degli alloggi teniamo un bel po’ di tacchini e qualche maiale: mangiano serpenti. Tra tutti questi serpenti velenosi, il mamba è il più del cazzo. Perché è cattivo. Questo tizio che ti dicevo, insomma, era in Land Rover e se n’è trovato uno in mezzo alla pista sdraiato tranquillo. Allora ha accelerato e deviato un po’ perché voleva ammazzarlo e quello con una prontezza di riflessi mostruosa è scattato di lato e ha tentato di morderlo al volo. Il tizio aveva il finestrino aperto. L’ha salvato sai cosa? Lo specchietto retrovisore. Il mamba non aveva preso bene le misure e ha colpito lo specchietto. Se no a quest’ora quello era sotto terra. Insomma giù si dice che quando vedi il mamba è meglio che non fai lo stronzo e te ne vai. Lesto lesto. Sì, gli animali pericolosi giù sono tanti e ci fai l’abitudine quasi a tutti. Ci sono orrendi parassiti del cazzo, zanzare, mosche tzè tzè, ameba, filaria, black fly, eccetera. Ti ci puoi abituare, ma ai serpenti no. Difficile abituarsi ai serpenti velenosi. Noi a suo tempo scavammo ai lati della diga due grandi collettori, due gallerie circolari con un raggio di sei metri che ci serviranno per convogliare le acque del fiume al momento giusto. Poi funzioneranno ancora da scolmatori per le piene. Abbiamo fatto queste grosse gallerie, lunghe qualche centinaio di metri, e le abbiamo lasciate lì per quasi un paio d’anni, senza metterci piede. Un mese fa ci siamo entrati, io e altri due, per un sopralluogo. Volevamo capire in che stato erano, visto che tra un po’ dobbiamo intervenire anche in quell’area. Eccetera. Bè, senti: una cosa che ancora me la sogno la notte. La volta di queste gallerie è di roccia viva. Sulla roccia viva è ancorata una rete di metallo, robusta, che serve per contenere i crolli di piccola entità durante i lavori. Cioè in pratica i sassi che si staccano con le vibrazioni, sai. Come sulle scarpate delle autostrade. Alzando la fotoelettrica montata sulla Land ci accorgiamo che in questi due anni le gallerie si sono riempite di pipistrelli appesi a testa in giù, grossi come gatti. Ma questo sarebbe niente. Tra la roccia e questa rete di metallo in alto vedevi strisciare un bel po’ di cobra, che erano lì per i pipistrelli, sai. Per mangiarli. Sono lunghi quasi due metri e sono mortali. Se ne stavano lassù acquattati tra la rete e la roccia con le code che pendevano nel vuoto e si torcevano quando la luce li colpiva. Un orrore tipo Indiana Jones. Anzi peggio, perché quello era vero. Queste gallerie sono anche piene di pozze d’acqua e dunque producono miliardi di zanze malariche. Le stiamo bonificando, adesso. I neri ci entrano e sparano da sotto ai serpenti e se li pappano. Pare siano buoni. Sì i neri, non solo sono affamati cronici, ma sono anche ingegnosi e furbissimi. Pensa che noi facciamo dei trasporti di materiale, praticamente biblici: trasferiamo intere colline dopo averle sbriciolate con la dinamite e ci costruiamo la diga. Carichiamo questo materiale che risulta dalle esplosioni – c’è una ditta inglese specializzata che ci fa questo lavoro con la dinamite: ci abbiamo messo quasi un anno a mettere a punto tutta la procedura, il tipo di esplosivo, la quantità, eccetera – lo carichiamo, ti dicevo, sui camion e lo trasferiamo a quattro chilometri di distanza per farci la diga. Per questo lavoro abbiamo assunto una ventina di autisti neri, bravissimi, del posto. Ti dico, davvero bravi. I neri sono ottimi autisti: praticamente è la cosa che fanno meglio. Solo che dopo un po’ ci accorgiamo di una cosa strana: le pasticche dei freni di questi camion si consumano troppo in fretta. Stiamo lì a cambiare in continuazione ferodi e pezzi di freno. Non era normale. Da Milano dopo un paio di mesi mi telefonano e mi dicono: checcazzo ci dovete fare con tutti questi pezzi di ricambio? Ve li mangiate? Ve li rivendete? C’è qualcuno che ruba in magazzino? Insomma, la cosa diventava imbarazzante. E non riuscivamo a capire il perché, finché non piazzo tre o quattro dei nostri lungo il percorso. Nascosti. Come osservatori, sai. Insomma quelli stanno lì una giornata intera e alla fine mi dicono che nessuno degli autisti neri usa il freno motore in discesa. Mettono a folle e frenano. Pensa tu: con la macchina a pieno carico. Avevano nel serbatoio la nafta esatta per fare un tot di corse alla tale velocità, calcolata e ricalcolata con precisione eccetera - perché i neri la rubano, ché da quelle parti non si trova. Insomma, senza freno motore si risparmia nafta e tutta quella che questi neri riuscivano al risparmiare se la vendevano, capisci? Ci rubavano il carburante e ci fottevano i freni dei camion. Però è gente per lo più ottima. Anche se devo dirti che un paio di volte mi hanno messo paura. Cioè non proprio paura, ma certo mi hanno preoccupato. Perché loro sono come i bambini. Io non sono razzista. O meglio non mi preoccupo di esserlo o meno. Se mi faccio un’idea negativa della gente con cui lavoro, me ne fotto se può parere razzista. A me le idee servono per lavorare, sai, non per chiacchierare a cena con gli amici. Non penso affatto che i neri siano scemi o cose del genere. Anzi. Ma quelli con i quali ho avuto a che fare io, nei posti d’Africa dove ho lavorato, sono primitivi. Cioè sono intelligenti, ma hanno una mentalità per certi versi infantile: si eccitano, perdono il controllo facilmente. Vedono il mondo in modo molto diverso da noi: pieno di magie, spiriti e cazzate primitive. Si dice che il selvaggi sono felici. Macché: hanno la testa piena di tabù, paure e interdizioni, superstizioni. Un vero inferno, secondo me. I neri apparentemente ci rispettano, ma sotto sotto è invece probabile che ci odino. Sai un bianco in Africa è un privilegiato per definizione, ma è invidiato e odiato. Non come sono odiati gli arabi o gli indiani o i cinesi. Ma è pur sempre odiato. Quindi questo odio c’è sempre, cova silenzioso. Ma può scattare allo scoperto e all’improvviso dal nulla, come un mamba, per cause che tu non hai previsto e non capisci. O per semplice eccitazione. E allora sono dolori, sai. Perché ci puoi lasciare le penne. Preso individualmente un nero è la persona più gentile e premurosa e dolce del mondo. Per cultura non amano lavorare, non si ammazzano di fatica e ti dico che li capisco. Però sono duttili, furbi, e hanno il senso dell’umorismo. Ma in certe circostanze la stessa persona può diventare completamente un’altra cosa. Si trasforma in uno che prima non conoscevi. Uno che probabilmente ce l’ha con te perché sei bianco. Una cosa che forse nemmeno lui, normalmente, sa. C’è un villaggio a una decina di chilometri dal cantiere. Abbastanza grande. Lì diamo lavoro a un centinaio di persone e allora un bel giorno ci hanno invitato a una festa importante. Una specie di festa dell’età adulta, della fine dell’infanzia. Roba così. Pigliano questi ragazzi e ragazze che hanno intorno ai diciotto anni e li trasferiscono per una settimana in un posto isolato nella foresta senza cibo, eccetera. Poi li vanno a prendere e ancora mezzi morti li mettono al centro di festeggiamenti tosti. Mangiano e danzano e altre cose così. Ma soprattutto bevono. Siamo andati lì con un camion pieno di roba da bere e da mangiare e di regali. Una specie di missione diplomatica, perché i buoni rapporti con i villaggi circostanti sono essenziali per noi, capisci. Insomma tutti erano contenti e la festa andava avanti e noi avevamo il posto d’onore vicino ai capi-villaggio. Si mangiava e si beveva. Poi sono incominciate le danze e gran parte del villaggio era ubriaco. Si eccitavano progressivamente coi tamburi e l’alcool e a un certo punto alcuni di loro, gente che conoscevamo perché lavorava al cantiere, si sono avvicinati e hanno cominciato a straparlare e a urlarci cose incomprensibili sulla faccia. Probabilmente ci stavano insultando. I capi avevano un atteggiamento ambiguo: un po’ di qua e un po’ di là. Insomma la cosa andò avanti un pezzo e la situazione si faceva tesa. Quindi a un certo punto, d’istinto, ho detto a tutti i miei di smammare all’istante. E così abbiamo fatto. Il giorno dopo qualcuno del posto mi è venuto a dire che era stata la cosa migliore da fare. Capisci? Erano diventati cattivi all’improvviso. Hanno questi villaggi con le case che sono poco più di una tettoia col fuoco al centro. Sono pieni di bambini che trattano con dolcezza infinita. In una casa ce ne sono sempre cinque o sei, non tutti sono figli dello stesso padre, altri sono affiliati, altri ancora stanno lì e basta. Donne e uomini non hanno il concetto di fedeltà. Ne ho visti di bianchi perdere le testa per una nera che li tradiva: loro innamorati persi e lei che accettava regali un po’ da tutti in cambio di sesso. Ma le nere sono così. Lì sono tutti così. Mi fanno ridere i missionari cattolici che cercano di inculcare sani principi. Sono parecchi quelli che restano giù per qualche anno e si fanno una seconda famiglia in Africa, sai. Si impiccano così. Alcuni finiscono per abbandonare quella d’origine e restano giù per sempre, si rifanno una vita, come si dice, lavorando di cantiere in cantiere. Devi capire una cosa: ancora oggi, in Africa, il bianco è pur sempre il bianco. È un signore, ti dicevo, un privilegiato, uno che se la passa bene. Anche se da noi è uno scalzacani qualsiasi, giù è qualcuno per il solo fatto di essere bianco. Ne ho conosciuti parecchi che si sono insabbiati così. Aprono un’attività, un albergo, un bar. Portano i turisti in giro, a caccia e a pesca. Commerciano: import-export. Oro, diamanti, anche se giù è un traffico che è quasi completamente in mano ai cinesi. Ce n’è uno che vive vicino a L* in una casa sulla spiaggia con una nera che è le sette bellezze: lui è di Ferrara e di mestiere si arrangia. Ci portava a pesca. Ho preso dei bei pesci con lui. Magari una volta ti mostro le foto: certe sberle lunghe così. Una sera che stavamo fumando sotto la pergola di casa sua, mi dice che ha trovato il paradiso. Diceva: sai, cazzo, io non sono adatto a vivere e lavorare in ambienti come il nostro. E poi diceva: sono un semplice e sto bene tra i semplici; le manovre e i trucchi e il doversi sempre parare il culo non li sopportavo, non li capivo; cazzo, stavo male, cambiavo lavoro in continuazione; poi sono venuto giù a lavorare per un’impresa e ho capito che questo è il posto per me; ho mollato tutto e ci sono restato; diceva, io sto bene solo coi neri, posso vivere solo in Africa. E poi diceva: l’ho capito tardi, ma l’ho capito.

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