mercoledì 27 aprile 2005

Quello che sappiamo

Quelli della mia generazione sanno alcune cose. Sanno innanzi tutto che i loro padri fecero una guerra e i loro nonni un’altra guerra, combattuta trent’anni prima di quella, e di queste guerre udirono i racconti, anche se loro non sanno cosa significhi andare in guerra. Sanno che la storia, a certo punto, collassò sulle spalle di ciascuno, chiamandolo a scelte individuali, difficili e ultime, alle quali molti non erano pronti. Sanno che i loro padri, finita la guerra con la resa e il tradimento dell’alleato nazista e in conseguenza di quelle scelte, combatterono una guerra civile, sanguinosa e spietata, trovandosi, spesso casualmente, su fronti opposti. Sanno che i loro padri cercarono di sterminarsi a vicenda, torturando chi restava prigioniero, prima di ucciderlo. Sanno della fame e delle malattie e delle macerie che videro da bambini, dei bracieri che riscaldavano le aule delle scuole, delle motociclette messe in moto all’alba. Sanno delle loro madri vestite di cotone a fiori, ricordano le loro permanenti e le scarpe ortopediche che calzavano, col tacco di sughero. Sanno dei pantaloni larghi dei loro padri, delle loro giacchette sdrucite, i capelli pettinati all’indietro, neri e lucidi. Sanno dei paracarri bianchi e neri che orlavano le strade, delle coste intatte, delle spiagge e delle dune deserte. Sanno che i segnalatori delle automobili erano bacchette luminose estraibili con una leva, che i blue jeans si chiamavano calzoni americani, sanno delle parrocchie che servivano per giocare a pallone, dei chewing-gum che si chiamavano gomme americane, o ancora, meglio, scingomme. Alcuni tra noi sanno persino dei pantaloni alla zuava e dei maestri che potevano picchiarti e umiliarti impunemente, della paura della polio, della scarlattina, della meningite, del tifo, della tbc. Sanno dei calamai inseriti nel banco, delle penne ad intingere, dei quaderni con la copertina nera e le pagine a righe rosse e blu, delle case senza riscaldamento. Sanno, perché li hanno vissuti, degli anni Sessanta, del boom economico, del centro-sinistra delle Seicento e Millecento, dell’Autostrada, dei soldi che cominciarono a vedersi in giro, delle cose che si potevano comprare e di quelle che si compravano. Sanno che anche la musica cominciò a cambiare, come le ragazze, che cominciarono a dire di sì, dei romanzi americani, dei film western, del cinema italiano, meraviglioso. Quelli della mia generazione sanno dell’alleanza non dichiarata, ma incontestabile, tra preti e padri, maestri e professori e poliziotti, per tenerli sotto controllo e modellarli a loro immagine. Alcuni di noi ricordano bene che c’era poco da scherzare e ricordano anche quando quel coperchio cominciò a cedere e hanno ben presente il momento in cui infine saltò, generando altri mondi, con tutto quello che ne seguì. Sanno quel che accadde dopo, e dopo ancora, anche se di molte cose non sanno darsi una spiegazione. Sanno che da qualche parte, annidate nel passato che conoscono e che ricordano, si trovano le radici dell’oggi e della sua stranezza, della violenza e dell’infamia dell’oggi. Nessuno di quelli della mia generazione si sognerebbe mai di dire che ha vissuto in un tempo di pace.

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