mercoledì 14 settembre 2005

Incontro con l'autore

Ero a Mantova durante il Festival della letteratura. Pre-metto che l’“incontro con l’autore” lo vedo con favore solo attraverso la sua opera. Cioè leggendolo. Dunque tendenzialmente condanno l’autore che sale sul palco e dice la sua, risponde alle domande dei ggiovani o, peggio, legge con voce stentorea (o stentata) un paio di paginette dal suo ultimo romanzo, o, tragicamente, lo fa un attore in sua presenza, interpretando, fatalmente, ciò che invece deve solo essere detto. Dico questo perché si sappia che ero prevenuto et saturo di pre-giudizi. Tutti puntualmente smentiti, nel senso che quello che ho visto, frequentando lì qualche “incontro con l’autore” – c’era persino, alle nove de mattina, una “colazione con l’autore”, ben satireggiata da Gene Gnocchi, come del resto tutto il festival, sul Sole-Ventiquattrore – mi ha sorpreso in senso opposto a quello che mi aspettavo. Mi aspettavo autori pensosi, compresi nel ruolo, - e tutto sommato li avrei preferiti così – invece ho dovuto constatare che l’intellettuale serio (o atteggiato, non importa), che ragiona, che profetizza, magari a cazzo, non va più. Adesso si porta lo scrittore spiritoso, che intrattiene, che non ti annoia mai e anzi, te fa ride e più spesso sorridere, che ti fa ammiccare alle sue allusioni, pirotecnico ma cauto, magari alla situazione storica attuale, e cela la sua opinione quasi del tutto, al punto che la si intravede appena, che dice e non dice, che mai nomina cose e persone con nome e cognome, senza appallarti con lamentazioni o ragionamenti di sorta, sempre leggero, scorrevole, accattivante, che quell’oretta ti passa in un baleno e si fa facile ora di cena, di tortelli alla zucca, di luccio con la polenta. Lo scrittore-intellettuale un po’ palloso, magari col carisma, oppure solo un po’ stronzo, ma compreso in questo ruolo, sembra non ci sia più. C’è invece l’intrattenitore brillante. E tutti sono lì che ridono, i ggiovani e i lettori “forti” sotto le tende, appagati da tanta brillanza, di cui si sentono partecipi privilegiati, me compreso. Parlo dei De Cataldi, degli Avoledi, e Fois e dei Pascale e di qualche altro che ho ascoltato. Persino Art Spiegelman & Mattotti usavano questa forma brillante e non-pensante. Mi sono venuti in mente Moravia, metti, o Pasolini, ieratici e oracolari, che ragionavano su tutto e si vedeva che prima ci avevano pensato. Pasolini che in televisione dice, serio: “Credo nel progresso, non credo nello sviluppo”.

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