giovedì 29 aprile 2010

Un giorno con l'Idraulico

Oggi viene l’Idraulico. Deve rompere le maioliche sotto e dietro il lavello, arrivare allo scarico e, se perde, sostituirlo. Un’apocalisse. La coinquilina del piano di sotto protesta che c’è una macchia sul soffitto della sua cucina. Sono andato a vedere: pareti e soffitto della sua cucina sono dipinte color salmone. Del resto il soggiorno è di un rosso carminio, molto carnale. Mi fa strano entrare in un appartamento identico al mio, ma gestito e arredato in modo completamente diverso dal mio. Non so, faccio fatica a riconoscerlo, mi sembra più piccolo, oppure delle volte più grande. Noto la diversità delle scelte: il tavolo non qui ma là, divano e poltrone messe di traverso, il televisore in un altro posto, eccetera. Talvolta disapprovo, ma non sempre. Disapprovo soprattutto le scelte per così dire di gusto, la forma dei mobili, le credenzine, i troumeau, i tappetazzi, i quadrazzi andanti alle pareti, disapprovo il Vorrei Ma Non Posso che qui tra noi, gente di condizioni modeste che vive in appartamenti piccoli, si dispiega potentemente. Al pomello centrale della porta di ingresso della casa del piano di sotto, quella con la macchia dell’Apocalisse Idraulica, da anni è appesa una sciarpa della Juve, ormai quasi non riconoscibile per via di quanto è lercia e triste. Si spiegano così le urla belluine che salgono dal pavimento ogni volta che in tv c’è una partita della Juventus: è un ragazzo, lo stesso che ho visto smanettare al computer sul tavolo da pranzo della mia vicina del piano de sotto. Egli come tutti i giovani di quell’età sorpresi a casa loro, mi appare indifferente sia alla macchia di umido in cucina, sia alla mamma, sia a me e in generale al contesto, forse al resto del mondo (eccettuata forse la Juve). Molti miei co-inquilini hanno sentito l’esigenza di «arredare» il loro pianerottolo con stampine alle pareti, riproduzioni di quadri de Van Gogh, piante vere e finte, manifesti de Toulouse-Lautrec e persino un alto cilindro di vetro tutto pieno di tappi di sughero. Un giorno ho visto una mia vicina di casa tornare dal lavoro con un libro in mano. La sera stessa, preso da un attacco di narcisismo, le ho suonato e le ho regalato il mio, di libro. Sono passati due anni e non me ne ha mai fatto cenno, né io le ho chiesto nulla… Ben mi sta. Scendere le scale a partire dal settimo piano è un’escursione culturale, un viaggio attraverso sei pianerottoli, che, anche quando non sono arredati, dicono comunque qualcosa dei miei co-inquilini attraverso forma colore e condizione degli zerbini, tutti rigorosamente diversi tra loro. Stando a questa casuale campionatura, immagino che il numero e la diversità dei modelli di zerbino esistenti sia impressionante. Progetto di fotografare tutti i pianerottoli, ma non lo faccio mai… Ore 8:45 circa. È appena arrivato l’Idraulico, mi ha chiesto se faccio l’archeologo, su mia richiesta ha ri-spiegato pazientemente il lavoro da fare: mi conferma che sarà un’Apocalissi di Calcinacci e Rumore, con sostanzioso esborso finale di soldi. Ore 9:07. Lo sento rimestare nella borsa degli attrezzi: rumore di ferraglia. Ho bisogno di un caffè, devo tornare in cucina. Ha chiuso l’acqua, mi suggerisce di usare la bottiglia di Rocchetta. Parliamo della crisi in Grecia e di come si smette di fumare e di come si ricomincia a fumare: «m’hanno fatto incazza’». Chiudo la porta della cucina. Ore 9:21. Sento i primi colpi di scalpello sul muro, batte con delicatezza. Mi piace questo Idraulico, appartiene a una nuova generazione di giovani idraulici acculturati, dalla faccia aperta, apparentemente privi della doppiezza tipica dell’idraulico che mentre ti parla rimugina su quanto ti può levare. Ore 9:26. Sta usando il trapano. Dicevo delle fotografie documentarie per un reportage sui pianerottoli di questa palazza. Tra le molte conseguenze che comporta la fotografia digitale, alcune delle quali nefaste, c’è il costo zero delle immagini, dunque l’abolizione del concetto di spreco dello scatto. L’assenza di supporto analogico (tuttora enormemente migliore del digitale) ci induce a fotografare soggetti considerati non-significanti, per i quali, prima, non valeva la pena di sprecare pellicola, ma che oggi possono diventare oggetto di indagine. Il campo della produzione di immagini si è ampliato all’infinito, io stesso mi dedico alacremente alla fotografia dell’insignificante, dell’ordinario, dell’inutile. Tutto è frutto di scelta, magari sciatta, maldestra: tutto ha una una forma o una conformazione: l’atrio della palazza dove vivo per me è diventato interessante perché posso fotografarlo praticamente all’infinito. Cerco di cogliere il mistero del suo essere squallido senza mostrare uno squallore palese et con-clamato. Ore 9:46. L’Idraulico ha aperto il muro, seguitano i colpi, il rumore di maioliche spezzate. Dicevo della malattia occulta dell’atrio della mia palazza, di quel qualcosa che cerco di cogliere fotografandolo in continuazione, senza trovare altro che quello che vedo. Quest’atrio, come moltissimi altri androni contemporanei, assolve la mera funzione di smistamento di possibilità: entrare-uscire, prendere l’ascensore, uscire dall’ascensore, attendere l’ascensore, salire-scendere le scale, aprire-chiudere le cassette della posta, aprire-chiudere le due porte di appartamento che pure vi prospettano. Funzioni essenziali che però non riescono lo stesso a farci apprezzare gli atrii, a meno che qualche architetto di buona mano vi si sia applicato seriamente: in certi quartieri di Roma ne esistono di bellissimi. Tutti li disprezzano, gli atrii delle palazze andanti, economiche, speculative. Sono «squallidi», dicono, con quegli eterni vasi di aspidistra, la pianta più dimessa che esista e però capace di crescere per anni nelle penombre degli androni, annaffiata di rado, ignorata da tutti, eppure essenziale per definire con esattezza ecologica cosa sono un androne, un cortile: cioè luoghi dove cresce l’aspidistra… Ore 10:05. Proseguono i colpi di mazzuolo e il rumore di trapano: non oso entrare in cucina. Ore 11:21. L’Idraulico emette la sua diagnosi: ha scovato la perdita, vanno sostituiti due tubi, la cucina è rasa di calcinacci. In generale non sono in grado di percepire lo «squallore» se non nella pretenziosità. Alla voce «squallido« il Devoto-Oli recita: desolato, demoralizzante per la miseria, l’abbandono, la sofferenza, la solitudine. (…) Anche, moralmente ripugnante, sordido. Per quanto mi riguarda, si può parlare di squallore quando qualcosa vuole sembrare quello che non è, quando tradisce una volontà di apparire metti di lusso, come certi alberghi che si declinano in guide, tappeti, moquette, boiserie, specchiere, tutto stilisticamente scrauso et rigorosamente falso, oppure al contrario si esibiscono in fighettismi da design di moda, che risultano ancora più squallidi dei falsi lignaggi. Ore 11:35. L’Idraulico sta operando in profondità. Speriamo bene. Fa freddino. Ha chiuso l’acqua. Insomma non c’è niente di squallido nei cortiloni andanti dei casamenti qualsiasi, negli atrii e negli androni disadorni. Al massimo posso vederli come camere di malinconia e mistero, luoghi dove i pochi oggetti, le pavimentazioni semplici, di eterne marmette quadrettate in cemento, le aiuole, i vasi di aspidistre, i discendenti delle grondaie, gli alberelli, le palmette, i sedili, quando ci sono, le bici legate con catena, le scalette che scendono nei semi-interrati, nei locali caldaia, i portoncini di alluminio anodizzato, le bottoniere dei citofoni con i cartellini adesivi dei nomi sovrapposti (la vita che scorre nelle case e frigge e muore, gli avvicendamenti di inquilini nel tempo…) più volte si danno per quello che plasticamente sono: presenze sceniche et tipologiche nei micro-scenari della città, oltre che oggetti intensamente plastici, lontani e estranei l’uno dall’altro, talvolta incongrui. Ma l’atrio della palazza dove abito non è né ampio, né vuoto, né basico, non ci sono aspidistre, ha un sapore stilistico da primi Anni Settanta, non mi appartiene e non gli appartengo, anche se sono capace di riconoscerlo per quello che è, voglio dire che conosco la stagione, la cultura da cui proviene per averle vissute. Ore 11:51. L’Idraulico ha tolto il sifone del lavello, in casa si sparge l’odore di festa batterica che chiamiamo puzza di fogna. Forte ora il rumore del trapano. La bellezza dell’aspidistra (Orwell, certo) sta nella sua semplicità, nell’atteggiarsi modesto di quelle poche foglie scure che spuntano direttamente dalla terra dei vasi. L’aspidistra non ci chiede nulla, se non di essere lasciata in pace mentre svolge l’essenziale funzione di riempire sommessamente spazi che consideriamo inutili e vuoti, senza chiamarci ad alcun particolare giudizio estetico, senza nemmeno farsi guardare. Per questo la fotografo spesso, dandole tutta la mia attenzione. Lo stesso faccio nei cessi pubblici, nelle toilette dei musei, nei bagni degli alberghi: fotografo tazze e orinatoi, più raramente lavabi. Mi affascina la plasticità della maiolica di orinatoi e cessi: faccio scatti di insieme e di dettaglio, con o senza flash, rapidamente, quando non c’è nessuno, perché un po’ mi vergogno. Raramente le foto rendono la bellezza metafisica dei cessi, le immagini che ottengo restano sempre al di sotto di ciò che ho visto, questo mi irrita e mi frustra. Ore 12:04. Dopo un po’ di pausa l’Idraulico ha ripreso a battere. È dalle nove che va avanti così. Non se ne vede la fine. Ho fame. Ore 12:25. L’Idraulico va a comprare i pezzi di ricambio che gli servono. Dice che non finirà prima delle tre e mezza. Ci accordiamo su una pausa di mezz’ora. Io pure devo uscire a comprami qualcosa da mangiare: la cucina è impraticabile: il baretto qui sotto fa dell’accettabile pizza romana con prosciutto e formaggio, o con le melanzane, se si è fortunati. Riflettere sulla categoria universale di prosciutto e formaggio… Ore 13:26. L’Idraulico è tornato e si e rimesso al lavoro. La pizza era con prosciutto cotto e mozzarella. Scaldata. Neanche male. Un kiwi a seguire. La barista cicciona è a dieta da mesi. È dimagrita molto, ma si è attestata su una stazza non ancora soddisfacente. Per lei. Credo. Credo anche che non tolleri collaboratrici bariste più belle e più magre di lei: le cambia in continuazione, alcune erano francamente bellissime, altre no: però tutte coi jeans calati sul culo, la pancia di fuori, er tatuaggio, il piercing: omologate al 100%. Ora lei, che si è lasciata col marito ciccione forse due anni fa, si è fatta l’uomo, un tizio maturo con giubbotto de pelle, un bellicapelli classico, abbronzato e sempre fresco di shampoo, che lo vedi spesso gironzolare dentro e fuori del bar. Insomma per lei è un bell’acchiappo: sarà per questo che la collaboratrice barista che recentemente si è stabilizzata (con jeans calato e pancia di fuori) è anche lei una cicciona? Ore 13:43. È appena venuto su il figlio juventino della co-inquilina del piano di sotto per avvertire che abbiamo «bucato». Dio! Sono sceso con l’Idraulico per visionare il danno. Sul soffitto color salmone della cucina c’è un buco di cinque centimetri di diametro. La co-inquilina si incazzerà come una lince, sarà difficile farle capire che il danno non dipende da me ma dalle tubature vecchie, sarà difficile che concordi sul fatto che le tubature non sono mie, ma dell’ente proprietario dell’immobile (dove si nutre un totale disinteresse per ogni tipo di manutenzione) e che quindi è già grasso che cola che io paghi l’intervento. Dovrò pagare anche la ri-verniciatura, ovvio. Ma non senza una bella sbattuta di nervi. Questa è quella che io chiamo una «Crisi Idraulica»: si presentano ciclicamente sotto diverse forme: allagamento palese, allagamento occulto (come questo), rottura dello scaldabagno, rottura di un rubinetto, ostruzione di una tubatura, e, la più drammatica, rottura della lavatrice/lavapiatti con inondazione di casa. Sulle crisi della vita, sui momenti difficili dell’esistenza, Alberto Savinio scrive immortali parole: egli sostiene che le difficoltà e le congiunture vanno lubrificate con denaro, perché risultino meno dolorose e noiose possibile. Sostiene inoltre che il denaro serve principalmente a questo, a superare al meglio i momenti difficili. E non, come pensano i più, ad accumulare beni. Concordo e sotto-scrivo. Prendo pienamente atto che quella di oggi è senz’altro una crisi, che è Idraulica e abbastanza grave. So che dovrò tirare fuori del denaro, e non poco. Ma quanto? Tra un paio d’ore lo saprò. Ore 14:00. Il trapano, che in realtà è un piccolo martello pneumatico, tace. C’è silenzio. Mozzarella e prosciutto. Moltissime delle cose che mangiamo si declinano nella forma di mozzarella & prosciutto (crudo o cotto?). Leggevo tempo fa un pezzo di Achille Campanile sullo strano destino delle seppie, che, dopo morte, tendono a sposare i piselli, nel tipico piatto: seppia & piselli. È un caso classico di arbitrio umano, nell’unire ciò che è (molto) separato e nel separare ciò che è unito. Nel caso di mozzarella & prosciutto l’arbitrio non è così improbabile, estremo. In fondo si tratta solo della parte superiore dell’arto posteriore di un suino, opportunamente lavorata et predisposta per la conservazione, che, divisa in sottili sezioni, va a fare ripieno col secreto sieroso e grasso delle mammelle di un bovino femmina, anch’esso molto lavorato e ridotto a una palla bianca e morbida, affettabile. È più semplice del trasporto di esseri alieni intelligenti, come le seppie, dalle profondità marine verso i frutti di una leguminosa, il Pisum sativum, appositamente coltivata. Sorvolo su ogni possibile ri-definizione della pizza, troppo difficile. Se ci si mette con impegno, tutto quello che ci circonda diventa difficile & non definibile: Achille Varzi direbbe che la mia pizza non è altro che atomi che pizzeggiano. Nello spazio aperto dallo iato mente/realtà i filosofi conducono la loro danza, insensata e senza fine. Per ora. Ore 14:13. Dalla cucina provengono colpi. Ho il mal di testa, voglio che l’Idraulico se ne vada. Ore 15:25. L’Idraulico è uscito, ha comprato il cemento ed è tornato. Ha detto che parte del buco nel pavimento non si può chiudere, perché occorre verificare che la riparazione funzioni. Ora sta cementando. La cucina è un massacro di calcinacci et polvere. La cena di stasera è rimandata. Quando l’Idraulico tornerà a finire la riparazione io sarò già partito. Se la vedrà con A. Questo Idraulico è gentile e mi sembra anche bravo. Ha molto apprezzato la mia lampada da minatore, che gli ho prestato. Dice che se ne comprerà una. Attendo a piè fermo l’arrivo della co-inquilina del piano di sotto. Ore 15:42. Sento uno strusciare di oggetti sul pavimento. Ne deduco che l’Idraulico sta rimettendo in sede la lavapiatti e il sotto-lavello. Presto uscirà dalla cucina e il calvario sarà temporaneamente finito. Riprenderà solo con l’arrivo della co-inquilina del piano di sotto. Ore 15:58. Mi sono affacciato in cucina. Sta ri-mettendo a posto le cose, spazza il pavimento. Ha detto «Un tour de force». «Effettivamente», ho risposto. Ora io so che sta pensando a come monetizzarlo. E io pure. Sono aggredito da una botta di sonno irresistibile… Ore 16:16. L’Idraulico se n’è andato. Non ha aumentato la cifra pattuita! Tornerà a chiudere giovedì prossimo, se non ci sono problemi.

Nessun commento:

Posta un commento