sabato 26 febbraio 2005

Girgenti

Ritorna ciclicamente sui giornali foto di tempio di Agrigento schiacciato su sfondo di Agrigento. Effetto dello zoom. Tendenzioso, teso a mostrare il sovrapporsi incongruo contrastante praticamente osceno delle due immagini, la foto sembra suggerire che si tratti di due realtà, una positiva e l’altra negativa. Una legittima e l’altra no. Una desiderabile e l’altra da respingere e esecrare. Insomma. La classica foto che illustra in modo sintetico istantaneo e sensazionale una cosiddetta contraddizione. La contraddizione, però, per quanto ci rifletta, non riesco a coglierla. Da un lato la valle dei templi con un bel tempio dorico in primo piano. Dall’altro, sovrastante, la città di Agrigento, brutta quanto può esserlo una città a forte espansione novecentesca: intensivi di speculazione alti fino a setto otto piani, affastellati sul pendio, nessuna pretesa di qualità architettonica, nessun segno realmente modernista: finestre, balconi, rivestimenti in cotto, intonaci, ringhiere fioriere cementi armati, eccetera. La solita roba che si vede nei continua semi-abusivi delle periferie italiche, forse un po’ peggio. Ma appena un po’. Testimonianza impareggiabile dei moduli culturali economici mentali del boom economico in versione meridionale, provinciale, un po’ bieca e mafiosa. Cioè se possibile ancora più abusivo, de-regolato e ignorante della norma di quanto non sia accaduto altrove. Questa roba edilizia, questo tipo di città è la città che la civiltà italica - meridionale e non del tardo dopoguerra.- è in grado di pensare e costruire. È inutile dire e ridire che no sì poteva costruire diversamente almeno con norme elementari di correttezza urbanistica e edilizia, almeno con la declinazione corretta dei linguaggi modernisti, eccetera. Certo è vero, quel tipo di città così brutta e già inabitabile appena nata non era obbligatorio. Ma però fu quello che la società civile e la classe politica, insieme, furono in grado di produrre. Né più né meno che la città italiana del secondo novecento. Cosa si pretendeva da Agrigento? Che si espandesse sul versante opposta alla Valle dei templi? Che si costruisse un’edilizia meno densa e brutta e invasiva? Che si rispettasse la Valle come entità a sé, come capsula temporale intangibile? Va bene. Ammettiamo che fosse possibile pretenderlo: con quale forza e autorità si sarebbe potuto far rispettare un simile dettato? Chi avrebbe potuto assumersi un ruolo efficace di salvaguardia, se non la classe politica locale? Perché avrebbe dovuto farlo, se nessuno all’epoca percepiva questa necessità? E infine: siamo davvero così sicuri che la Girgenti contemporanea debba per forza starsene lontana e in disparte, rispetto ai suoi templi? Ad Agrigento il rapporto di immagine tra unica archeologici e continuum urbano contemporaneo è così dirompente da costituire, da solo, una sorta di trattato sulla cultura del secondo Novecento italiano e sul suo rapporto con il passato. La realtà che è lucido saggio su sé stessa. È nuda evidenza. È risposta e domanda assieme. Eccetera.

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