lunedì 21 febbraio 2005

La morte in moto

Le strade di Roma sono disseminate di piccoli monumenti funebri. Probabilmente accade lo stesso in molte altre città, specialmente nel Sud. Quando qualcuno ha un incidente mortale, soprattutto quando un ragazzo muore in moto o in motorino, nel punto dell’impatto - un albero, un muro, il pilastro di un ponte, un palo, eccetera - compare un mazzo di fiori. Ripassando di lì dopo qualche giorno vedi che i mazzi di fiori sono diventati molti, che è comparso qualche biglietto, magari plastificato, su cui qualcuno ha scritto un necrologio di versi ingenui: “ormai sei nel vento”, eccetera. Questo altarino improvvisato può seguire destini opposti. Può disfarsi, fradicio di pioggia e nero di sporcizia, scomparendo dopo qualche settimana, al massimo qualche mese. Oppure si consolida e punta a diventare, in loco, un monumento funebre permanente. Il processo di consolidamento riesce con maggiore facilità se il luogo è accessibile e se presenta un supporto durevole, tipo appunto un pilastro o un muro. Nella fase spontanea di formazione iniziale compaiono vari tipi di emblemi, tra i quali spiccano sciarpe e gagliardetti che indicano la fede calcistica del defunto. Sul marciapiede sotto lo studio del mio medico è morto un ragazzo in motorino. Il fatto è accaduto quasi due anni fa, e lì da allora c’è quello che chiamerei un albero della memoria, a cui è stato appeso di tutto: poesie, foto, fiori, oggetti “a reazione poetica”. Ma soprattutto sciarpe della Lazio e strani cartelli pseudo-religiosi nei quali il morto viene indicato come un buon credente, come un eroe di una mistica pagana e però calcistica. Il frasario e i termini usati sono pressoché inequivocabili: il ragazzo morto è finito di sicuro nei Campi Elisi dei Laziali. Non so se questo altarino si sia poi consolidato, ma in esso mi colpiva l’assenza completa di simboli religiosi, sostituiti da simboli tribali e pagani, compresi quelli runici, tipici dell’estremismo giovanile fascistico. In molti casi dopo un po’ di tempo vedi comparire in questi luoghi vere e proprie lapidi di marmo, forse su iniziativa dei parenti, non so. Ho letto che in un anno a Roma muoiono quasi duecento motociclisti, molti dei quali su moto velocissime di ultima generazione. Nelle officine meccaniche e nei negozi specializzati si narra spesso di questi incidenti. È ancora l’epica della morte giovanile, hanno un che di attrattivo, di eroico. I particolari più tremendi dell’incidente vengono resi con figure iperboliche sulla velocità, la traiettoria del corpo del motociclista, sulla distanza coperta dal volo, sull’impatto, su dove è finito, sulla quantità di sangue sparsa sull’asfalto, eccetera. Sabato scorso, in un negozio dove stavo cercando un casco nuovo, si sentiva narrare di un incidente avvenuto il giorno prima, all’alba, sulla via Laurentina: “Nun poi capì, s’è spezzato in due!”, “Ma chi, la moto?”, “Ma no lui! Le gambe de là, il resto de qua, sarà andato a duecentoventi, sarà andato!”. Sono certo che lì, in quel punto, è già nato un monumento funebre, piccolo e pagano.

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