giovedì 3 marzo 2005

Intervista

Quando eravamo mortali non era come adesso. Io lo so perché c’ero, sono stato uno degli ultimi e non so se si vede. Cioè lo so che si vede, il procedimento era a gli inizi e io ero già in là con gli anni. Ma l’ho scampata e già così è grasso che cola, per me. Lo so che ormai sono una specie di capsula temporale, di scrigno di memorie dirette, che nessuno ha più. Però, per favore, datemi tregua. Tutti questi colloqui e interviste eccetera sono una bella rottura di palle... Quando ancora si doveva morire le cose erano messe in modo diverso. Molto diverso. Ora ve lo dico, un attimo. Dunque, prima di tutto non si potevano fare prove. Di vita, voglio dire. Nascevi, ti scodellavano all’esterno nel fottuto orbe terraqueo, nel deprimente continuum spazio temporale... Sì scusate uso termini obsoleti. Sapete, già non capivo quelli vecchi, figuriamoci i nuovi paradigmi. Come sarebbe che hanno trent’anni? Per me sono nuovi, sono rimasto ad Einstein. No. Non si potevano fare prove, scartare le vite venute male e tenersi solo quelle buone. Una volta nato, cioè fottuto per tutto il resto dei tuoi giorni, la tua vita era quella e non c’era verso né modo di cambiare, aggiustare, correggere. Quella era e quella ti beccavi. Decidevi di fare un mestiere, di prenderti una donna, di abitare in un posto, eccetera: beh, una volta fatto, era difficile cambiare, faticoso, rischioso. Il tempo era poco, quello che sapevi fare sapevi fare. Quello che avevi acquisito era tutto quello che avevi, o quasi. Era una parola modificare, riconvertire, compiere manovre per prendere altre direzioni, più consone, adatte. Nessuna prova, si andava in scena subito e si improvvisava alla cazzo e mannaggia. Una tensione orribile. Ci si faceva del male a vicenda per inesperienza, mancanza di civiltà acquisita, scarsa educazione alle cose. Quando si cominciava a dipanare, a raccapezzarsi, a mettere su un costrutto qualsiasi, un’immagine, un sistema decisionale, un ventaglio di procedure, uno straccio di etica personale, ecco che tac, eri bello che morto, schiattato, defunto e ciao. Tutto era rigidamente intelaiato: famiglia, società, rapporti lavoro competenze, luoghi per vivere. Come, “cos’è la famiglia?” Lei dovrebbe documentarsi un po’ meglio, prima di fare interviste di questo tipo, ragazzo. O ragazza? Si chiamava famiglia un gruppo di persone umane legate da vincoli genetici stretti, tipo genitori-figli, marito-moglie, per dire. A quei tempi era anche impossibile cambiare il pacchetto genetico di dotazione iniziale. Era roba di default, te lo dovevi tenere così com’era. Lo so che era orrendo caro/cara mio/mia. Se non ti piaceva il naso con cui eri nato al massimo te lo modificavano chirurgicamente... sì, lo facevano i medici. C’erano i medici, quelli che curavano i malati. Ancora adesso qualcuno si ammala, no? Se eri deforme, deforme restavi. Non si poteva cambiare e ricambiare sesso. Insomma c’erano questi nuclei - lo avrà studiato a scuola no? - chiusi, rigidi, claustro-fobici, legami sessuali e di allevamento della prole, esclusivi. Ufficialmente esclusivi: la donne restava donna e l’uomo uomo, non come adesso che si divertono tutti a scambiarsi il ruolo. A quel tempo c'era una cosa che si chiamava "identità", ma è difficile spiegare cosa fosse a chi non ne ha mai avuta una. E poi, senta, si moriva. Ti cadevano i denti, non come ora che ricrescono. I capelli. Ti calavano gli ormoni, il testosterone, la vista, l’udito. Ti prendevi le malattie. Tutti si ammalavano spesso e morivano così, senza nessun avvertimento. Non si aveva il tempo di annoiarsi - come oggi - del proprio mestiere, della propria vita. Insomma si viveva peggio, credo.

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