mercoledì 6 aprile 2005

Pleistocene

Anche oggi era lì, seduto sul ciglio del marciapiede, che parlava da solo a voce alta. È vestito discretamente ed ha una borsa a tracolla, non sembra sporco. Ha la faccia rossa di sole, ieri deve aver passato qui tutta la giornata. L’avevo infatti già visto, verso le cinque di ieri pomeriggio, sempre lì seduto, blaterare e gesticolare al nulla. Ed effettivamente questo luogo possiede molti degli attributi del nulla: asfalto, marciapiede, lampioni stradali, nella cunetta scaricaticcio e i rifiuti tipici dei bordi stradali molto trafficati, cioè cicche, pezzi di copertone, cartacce e fazzoletti sporchi di carta, frammenti di paraurti e parabrezza, residui di vecchi tamponamenti.
Lì non passa nessuno, perché non v’è una sola ragione al mondo per venirci o per percorrere questi marciapiedi invasi da erbacce. Più in là, sotto l’impalcato pesante del viadotto c’è qualche macchina parcheggiata, qualche rifiuto più consistente, cartoni, resti di dimore provvisorie, forse. Passando di qua la notte ci vedi quelle che sembrano auto di coppie che si appartano, non so. O forse sono solo le puttane nere, che battono quasi nude sotto la scalinata del palazzo della civiltà italiana e che vengono qui a lavorare. Non capisco perché, ma uomini solitari e persi vengono qui, su questo raccordo in curva e in salita, con un marciapiede che sarà largo meno di un metro e si fermano, si accasciano sul marciapiede, oppure siedono sul muretto di recinzione del centro del CONI, con le spalle alla siepe che nasconde i campi di pattinaggio a rotelle - più su puoi vedere ragazzette che volteggiano col tipico culo tondo e prominente delle pattinatrici - e ci restano intere giornate. Alcuni, per qualche tempo, sembra vi prendano dimora, forse dormono più in là dentro quel canneto o si arrangiano sotto il viadotto. Fino a qualche mese fa avevo visto spesso un uomo grosso, vestito come Robinson Crusoe, capelli e barba lunghissimi e lerci, i vestiti a brandelli e senza forma, ai piedi stracci neri di sporco legati con lo spago e in testa uno strano cappello nero, alto a cono. Un’apparizione. Sembrava un uomo dei boschi, un neandertaliano scongelato dai ghiacci della Siberia. Era lì in strada vicino al marciapiede, in piedi dopo la curva, che una volta stavo per investirlo, sempre immobile, assente, che custodiva un mucchietto di buste di plastica e altra roba buttata sull’asfalto. Chi è, e che faceva lì e come è arrivato a buttarsi in strada? L’uomo dalla faccia rossa è più giovane e pulito. Gli abiti sono integri, dev’essere poco tempo che fa questa vita, se pure la fa. Magari è solo un po’ fuori di testa e i famigliari lo stanno cercando per riportarlo a casa. Questo perfetto non luogo, privo di cose da fare e da guardare, privo si direbbe di appigli per la vita, di suppellettili, di scopo, se si eccettua quello di farti accedere, dopo qualche giro di troppo, al viadotto della Magliana, sembra perfetto per questa gente persa, che non si interessa più a niente e a nessuno, che non ha più voglia di parlare, né di sé né di qualsiasi altra cosa, e vuole soltanto restarsene qui in solitudine a blaterare chissà cosa nella brezza serale, che spazza leggera quello che una volta era l’Agro. Tuttavia mi sembrano liberi, affrancati, risolti, non più responsabili di niente, se non di sé stessi e della propria sopravvivenza, come nel pleistocene.

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