mercoledì 18 maggio 2005

Il polpo, perhaps

Esistere: essere, avere realtà effettiva. Eccetera (De Mauro on line). I dizionari non si occupano esplicitamente dei problemi filosofici che si nascondono dentro i lemmi. Eppure un dizionario, se è buono, sotto sotto è anche un poderoso trattato di filosofia del linguaggio, di scienza della definizione, di ontologia, eccetera. Dire cosa significa una parola non è impresa da poco, al punto che molti termini che si riferiscono a specie viventi, oggetti, dispositivi e utensili, organi del corpo umano, eccetera, generano illustrazioni, quei meravigliosi, minuziosi disegni al tratto, tipici dei dizionari e delle enciclopedie di qualche decennio fa. Questioni complicate. Cosa significa per esempio la parola “polpo”? Difficile non ci sia scritto che è un mollusco cefalopode, eccetera. Il De Mauro on line recita: pól|po, s.m. CO mollusco marino molto comune, con corpo a forma di sacco e otto tentacoli provvisti di ventose disposte in doppia fila, pescato per la carne cucinabile in vari modi | TS zool.com., nome comune dei molluschi della famiglia degli Ottopodidi e in particolare dell’Octopus vulgaris, diffuso nel Mediterraneo. La definizione contiene una quantità di concetti che occorre conoscere già se si vuole sapere di cosa cavolo parli il dizionario: mollusco, mare, corpo, sacco, tentacoli, ventose, carne, cucinabile, eccetera, fino a Mediterraneo. E questi concetti ne contengono a loro volta altri, e questi altri ne contengono altri ancora, al punto che qualche volta ho pensato che per approfondire davvero il nome di una cosa bisogna descrivere l’intero Universo Mondo, e forse non basta. E, quand’anche si conoscessero con esattezza tutti i termini della definizione, ma non si fosse mai visto un polpo, non saremmo in grado di riconoscerne uno, vedendolo, sulla sola base della lettura della voce “polpo” del De Mauro. A questo serve il disegno: supplire, almeno parzialmente, alle carenze del linguaggio. Insomma il dizionario ci dice solo che una cosa esiste e ha quel nome. Ma ci dice anche il nome di cose che non esistono, delle cose dubbie, e ci dice soprattutto dell’esistenza di alcune parole, in quanto parole. Per esempio ci dice che esiste la parola: “tuttavia”, e la parola “forse”, eccetera, che non si riferiscono a nulla di esistente, al di là del proprio stesso significato. Non solo, ma il dizionario ospita solo una infima parte delle parole che servirebbero a dire di tutte le cose che probabilmente esistono, ma delle quali non sappiamo nulla. Sulla quarta di copertina di Ontologia di Achille C. Varzi, Laterza 2005, leggo: È possibile, e come è possibile, fare un inventario di tutto ciò che esiste? Non so se dentro il libro ci sia la risposta a questa domanda, ma immagino di sì, ed immagino sia una risposta complessa. Ma è soprattutto la domanda che mi ha incuriosito: chi e perché se l’è posta? L’autore fornisce una risposta anche a questo interrogativo, ma non mi sorprenderei se la domanda fosse contenuta in qualche racconto di Borges, in qualche suo testo. È certamente una domanda borgesiana e mi sembra contenga in sé una qualche dose di ironia, sul tipo di quell’altra Domanda Definitiva contenuta in Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams (non dico qual è). Nella prefazione del libro– non sono andato oltre, per ora – si dà subito una prima informazione: la domanda la pone il filosofo C.D. Broad e si genera da un’altra domanda: che cosa esiste? A cui, secondo l’autore, si deve rispondere: tutto esiste. Per poi aggiungere: cosa si intende per tutto? E quali cose si debbono includere in un “Inventario completo” del tutto? Insomma: non tutto esiste, ma solo ciò che appartiene alle cose che esistono, cioè al tutto esistente. Per questo servirebbe l’inventario e dall’inventario si potrebbe buttare giù un catalogo: se una cosa non la trovi sul catalogo del tutto, vuol dire che la realtà non la fornisce. Dunque non esiste, non la trovi già pronta e, se proprio ti serve, devi fartela da solo. Tipo l’invenzione e la fabbricazione di dio, che risponde ad un bisogno che la realtà non riesce a soddisfare. Ma - proseguo a braccio e spero che mai il Varzi,o un altro vero filosofo, leggano queste note - dato che non è possibile stilare un elenco di tutte le cose esistenti e, soprattutto, dato che ne esistono sempre di nuove e inaspettate - di quelle che uno dice: maddai, davvero? non mi stai prendendo per il culo? – l’Inventario si occuperà di stilare il catalogo delle cose che possono esistere. Immagino che valga come dire delle condizioni (assolute?) secondo le quali una cosa può dirsi un ente, cioè può appartenere alla realtà effettiva. E anche sulla realtà effettiva ci sarebbero da dire cose imbarazzanti. Non so esattamente cosa sia l’ontologia, ma credo si occupi proprio di questo, cioè delle condizioni di esistenza secondo le quali, eventualmente, stilare un Catalogo dell’esistente. A occhio e croce ti viene subito da pensare che ciò che non può essere - a nessuna condizione presente, passata e futura – pensato, descritto, nominato detto e narrato in qualsivoglia linguaggio, presente passato e futuro, non esiste. Ma qualsiasi scrittore di fantascienza sa che ciò che non possiamo pensare noi lo può magari pensare qualcun altro essere pensante, con altre modalità senzienti, su altri pianeti, in altre galassie, universi e spazio-tempi (spazi-tempo?). E comunque questa sarebbe solo una condizione necessaria, ma non sufficiente: se posso pensare e narrare una cosa, o descriverla, se esiste l’idea di una cosa, non è detto che esista, vedi l’araba fenice, l’unicorno, dio, eccetera. Altrimenti si ricadrebbe ner platonismo, come minimo, e bisognerebbe legittimare quantomeno i libri di Peter Kolosimo. E però le idee esistono: nelle nostre menti, nelle nostre parole, sui libri. Il polpo domani potrà anche estinguersi – sarebbe una vera tragedia – ma avrebbe lasciato comunque una traccia reale e indelebile, forse eterna: l’idea di polpo. Essa è già contenuta, per esempio, nell’insegna di un ristorantaccio sulla via Boccea, a Roma, che si chiama La tana der porpo.

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