giovedì 16 giugno 2005

Gli indifferenti

Da tempo dubito che la nozione di individuo corrisponda a qualcosa di reale e verificabile.
La maggior parte di noi non ha un pensiero, un’opinione davvero individuali.
E quei pochi che ce l’hanno la limitano ai soli, pochi, argomenti dei quali sono davvero esperti. Sul resto si aggregano, come tutti.
O meglio, sono aggregati.
Credo piuttosto che ciascuno di noi sia il prodotto tipologico dell’ambiente da cui proviene, di quello dove si è formato e di quello in cui nuota tutti i giorni. Il cervello umano è predisposto per assumere blocchi di idee collegate tra loro, non certo ad elaborarle una per una.

Lo spirito gregario, cioè la capacità innata, canina, di adeguarsi ai comportamenti mentali e fattuali della maggioranza, è sempre stato premiante: con gli altri, collaborando, si hanno più probabilità di sopravvivere e durare.
Ragione per cui si è trasmesso più facilmente dello spirito opposto. Siamo abituati a considerare positivamente quest’ultimo, cioè l’originalità, l’individualismo, solo a causa della sua rarità e perché, episodicamente, gli spiriti non-gregari procurano a tutti gli altri i vantaggi della loro capacità di non-accodarsi e di elaborare nuovi paradigmi.
Ma in sé, lo spirito gregario non ha nulla di negativo, anzi, la sua diffusione costituisce il fondamento, la conditio s.q.n. di qualsiasi tipo di società, di qualsiasi tipo di norma e del concetto stesso di condivisione, di cooperazione. Pensare e agire tipologicamente ci rende comprensibili e prevedibili, rende tollerabile ai più quello che facciamo, diciamo, produciamo.
Soprattutto in quei campi dell’agire e del produrre dove è possibile che si sprigioni una certa dose di immaginazione, è necessario imbrigliarla nel tipo, nel gusto corrente, nello stile, e ciò perché ciascun prodotto non si costituisca come un unicum, ma faccia piuttosto parte di una serie già acquisita nei suoi elementi principali, e perciò condivisibile, giudicabile, godibile.
Si immagini, per esempio, una città non-gregaria, cioè interamente costituita da episodi edilizi a-tipologici, completamente autonomi e originali come forma, linguaggio, figura, colore: in pratica una babele anarchica e insopportabile, dove mancherebbe qualsiasi buon principio di ripetizione e uniformità, dove ci riesce difficile immaginare di poter vivere.
Ecco, questa difficoltà ad immaginare una città così fatta deriva dal nostro genetico spirito gregario, che predilige l’uniformità e tollera la variazione e la novità purché si mantengano entro limiti ristretti. L’esistenza di una virtù gregaria è anche la condizione chiave per un buon esercizio della democrazia, dove la frammentazione individualistica del pensiero e dei comportamenti non può oltrepassare una certa soglia, pena l’ingovernabilità e la caduta del sistema.
Vengo al dunque.
Chiunque possieda la chiave degli strumenti di innesto ideologico nelle menti dei più, ha in realtà la chiave per impadronirsi di un sistema, di una cultura, di un paese. Per questo, come tutti sanno, la battaglia attorno al mezzo televisivo si è fatta recentemente così feroce.
La lettura corrente, che condivido recita che verso la metà degli anni Ottanta si sia verificata la caduta dei Sistemi Ideologici, i soli capaci di contrastare il mezzo televisivo con la forza della loro coerenza interna di blocchi compatti, e che tale caduta abbia lasciato campo libero alla Televisione che è riuscita così ad impadronirsi delle coscienze nel corso di un decennio, senza troppa fatica. Lo spirito gregario ha fatto il resto. In occasione della morte di Giovanni Paolo Secondo ho notato (non sono stato il solo) che Credo Religioso, Spiritualismo Cattolico e Televisione si spalleggiavano e implementavano a vicenda con un’efficacia mai vista prima.
La Televisione, sommo mezzo di ratifica di ogni realtà e sovra-realtà, potenziava il patetismo del messaggio cattolico, naturalmente semplificandolo, e la Chiesa, a sua volta, rinviava indirettamente un’immagine del mezzo televisivo come giusto e necessario, perché capace di azzerarsi in ogni altro possibile contenuto, per riempirsi acriticamente di Dio, Papi, Santi e Cardinali e dell’Emozzione collettiva allo stato puro che nel frattempo si scatenava.
Doppia ratifica incrociata, dunque, che ha dato i suoi frutti nel Referendum: il messaggio cattolico, non votare, è allora caduto su un terreno già dissodato dall’Emozzione mediatica e sovrannaturale della Morte del Papa-Già-Santo (e dell’Elezione del Papa Nuovo) e ha ben fruttificato in convinzioni gregarie de massa che non hanno risparmiato nessuno. Ma direi che, nel caso del Referendum non si è trattato solo della scia di questo evento. Si tratta di una cosa ben più grossa, secondo me.
Nell’astensione c’è un sintomo, l’ennesimo, di uno sperdimento di massa, che induce la maggioranza a rifugiarsi nelle certezze del già detto, del già giudicato, dell’ipse dixit cattolico, assoluto e certo, a fronte del NUOVO, tutto da valutare perché estraneo e potenzialmente minaccioso.
Non occorre essere cristiani praticanti per questo, anzi, forse non occorre nemmeno essere del tutto credenti. Esplicitamente descritto come minaccioso, pericoloso, malefico, dalle culture conservatrici, religiose e non, di destra sinistra e centro, il nuovo tuttavia avanza.
In questo caso il nuovo è possibile restringerlo al portato della scienza, che non si limita più a costruire, metti, aeroplani e razzi e a inventare gli antibiotici, eccetera, ma comincia a mettere mano alle “Sacre Radici della Vita”.
Cioè a scavare la terra sotto i piedi, non solo di ogni religione che implichi un trascendente, ma anche dei valori fondanti dell’Esistenza, della Famiglia, dei Figli come Dono - Divino oppure della “Natura” - dell’irripetibilità e sacralità dell’Individuo, eccetera.
La società occidentale, che viene comunemente definita laica e secolarizzata, non è affatto tale, perché nel suo sentire comune i “fondamentali” cristiani dell’etica e della concezione spiritualistica del mondo non sono stati mai davvero messi in discussione da un pensiero organizzato, opposto e soprattutto diffuso. Non l’ha mai fatto la Scuola, non lo fa la Televisione, né alcun altro mezzo capace di incidere davvero sull’assetto ideologico de massa.
Anche il pensiero ecologista, che costituisce forse l’unico blocco ideologico appena un po’ più organizzato, a fronte dei sistemi religiosi, si traduce in definitiva in nuove forme di spiritualismo e sfocia di solito in esiti ancora più conservatori, ma stavolta in nome della Natura e della Naturalità, intese confusamente come depositarie di una sorta di ancestrale Retta Via con la quale è meglio “non interferire”. Torna Frankenstein, ma anche Prometeo e lo Scienziato Pazzo. Trionfano il concetto di Contronatura e la sensazione di Blasfemìa, del Peccato Contro Dio, della Bestemmia Scientista, della Scienza Disumanizzante, della Minaccia della Macchina, dell’Uomo Artificiale.
Nulla di ciò si manifesta in termini drammatici. È solo una lenta infiltrazione, un consolidamento silenzioso, che agisce in regime di anestesia televisiva, dove pure trionfa il peccato, ma solo quello della volgarità scopereccia e cazzo-fica-merda-culo, diventato comico e veniale, contro il quale ormai si levano solo voci di borghesi attempati in nome del vecchio buon gusto di un tempo. Gli stessi programmi che si vogliono scientifici propagano sensazioni di un Pianeta Vivente e Giusto, di una Natura quasi pensante, che sarebbe perfettamente in grado di auto-regolarsi, se solo l’uomo non si intromettesse e scombinasse il gioco. Mancano completamente anche solo le tracce di nuovi paradigmi, che pure servirebbero, eccome.
Si è detto e ripetuto che le grandi rivoluzioni del pensiero occidentale contemporaneo sono state almeno quattro, che qui elenco con i nomi delle menti non-gregarie che le innescarono: Darwin, Marx, Freud, Einstein. Si tratta di sistemi di idee portatori di letture eterodosse rispetto alla tradizione cristiana e tutte, in grado diverso e in modo più o meno diretto ed esplicito, nemiche di questa. Considero la rivoluzione darwiniana la più estrema e radicale (il paradigma einsteiniano è fuori della mia portata mentale, ormai lo so), tra tutte quelle elencate, in quanto demolisce una ad una tutte le convinzioni correnti sui fondamentali della vita e sul loro “significato”.
Allo stesso tempo, il nocciolo, e le infinite implicazioni del pensiero evoluzionista costituiscono l’unico strumento paradigmatico col quale possiamo sperare di gestire il futuro delle nostre coscienze a fronte del futuro delle bio-scienze, sterminato e potenzialmente terrificante.
Tuttavia la cultura dei non-credenti (laica?), almeno da noi, non l’ha mai presa davvero sul serio, non l’ha mai davvero studiata, non ne ha mai davvero compreso le implicazioni, che sono enormi e di conseguenza non ci ha mai davvero lavorato su.
Tra parentesi: non uso la formulazione “cultura laica”, perché considero lo spazio laico come uno spazio “civile”, estraneo e indifferente ad ogni credo e confessione, nel quale è possibile fissare e gestire le norme comuni necessarie alla coesistenza di qualsivoglia convinzione e tendenza: dunque credo che il laicismo non sia il pensiero dei non credenti, ma quello dei tolleranti.
Credo che alla base di questa sostanziale estraneità tra la cultura dei non-credenti e il darwinismo vi siano due cause principali.
La prima è che in Italia praticamente non esistono veri non-credenti, cioè soggetti attivamente impegnati nella costruzione di una o più immagini di un mondo senza dio.
La maggior parte dei non-credenti è in realtà costituita da agnostici, cioè da gente non davvero interessata al problema della non-esistenza di dio, che lascia di conseguenza intatti una serie di paradigmi correnti e quindi, nella sostanza, vi aderisce.
Infatti, la quasi totalità di quelli che non credono nell’esistenza di uno o più dei, non si curano delle conseguenze di questa loro incredulità e lasciano pressoché intatto tutto il resto, limitandosi cioè a sottrarre dio ad una concezione sostanzialmente deista del mondo e della vita: il discorso è complesso e non mi inoltro più di così.
L’altra causa è la cultura oggi dominante, che è anche la cultura degli italiani colti, sostanzialmente fondata sull’umanesimo idealista, emozzionale, spiritual-teista e anti-scientifico, della cultura italica filtrata dalla Riforma Gentile, che ancora infradicia la Scuola e l’Università del Paese, e che è moneta corrente ovunque.
Tutti ci siamo formati ai valori sostenuti e propalati da questa cultura e chiunque voglia accedere ad ottiche differenti, non soltanto deve fare una fatica cane, ma si ritrova praticamente da solo, senza un vero sistema concettuale di riferimento, senza testi.
Non concordo dunque con quelli che affermano che esista un’Italia dei colti che ha votato SÌ al referendum e un’Italia de base, immersa nel truogolo di indifferenza catto-televisiva, che se ne è fregata. Esiste un’Italia sola, quella prodotta dalle nostre scuole, dalle nostre università, e dalla Chiesa Cattolica, della quale partecipano anche i colti e i laici, nella loro incapacità ad elaborare una cultura davvero diversa e buona per affrontare il futuro, di approntare nuove etiche non-cristiane e di parlare una lingua anti-spiritualista coerente, comprensibile, convincente.
Credo che sia stata la percezione della scarsa, o nulla, convinzione di questi ultimi a causare l’astensione dei più al referendum. Aggiungo che le argomentazioni dei “laici”, a parte la sporadica lucidità di qualche medico e di qualche biologo, capace di comunicare con naturalezza nel linguaggio scientifico, apparivano deboli a fronte dell’imperativo morale, semplice e assoluto, dei cattolici.
Un “lungo ragionamento” (forse lacunoso, sicuramente incerto) contro le poche parole di uno slogan efficacissimo, praticamente perfetto, ma totalmente vuoto, SULLA VITA NON SI VOTA: come se, per esempio, quando si mette ai voti la partecipazione ad una guerra, non si votasse anche in quel caso “sulla vita”.
D’altro canto, fuori dai dogmi emessi dai sistemi ideologico-religiosi, ci sono solo lunghi ragionamenti, non importa se lacunosi e incerti, purché siano aperti.

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