Oggi (cioè l’altro ieri) a Piazza Cola di Rienzo, che forse mi piace forse no e comunque non importa – e in ogni caso quello che eventualmente non mi piace sono quei due inserti di architettura più recente rispetto alla teoria paratattica di isolati inizio secolo scorso: uno composto ma cupo, l’altro più manieroso, ma con pretese et promesse non mantenute, incongruo – come se nella città, anzi in una città come Roma, si potesse eliminare l’incongruo – come se si potesse pretendere l’assoluta sincronicità degli edifici e degli oggetti, la qualità costante, l’accordo tra le parti – come se la città non fosse costruita pezzo a pezzo e nel tempo da gente diversa con scopi talvolta diversi persino dal guadagno, gusti non analoghi, personalità individuali, culture mai coincidenti
– come se la città si potesse paragonare a una jam session, che è quando gente di diverse abilità converge in un luogo per accordare via via i propri suoni, rispondersi, stimolarsi a vicenda – come se invece la città non fosse composta di pezzi diacronici che vanno ciascuno per suo conto e forse questo è il bello del suo brutto – come se non fosse necessario un bel po’ di tempo perché ai nostri occhi quello che oggi appare incongruo al contesto, quello che oggi ci ferisce e ci irrita, si amalgami con ciò che gli sta intorno per l’effetto di schiacciamento prospettico che produce la lontananza, la sopraggiunta estraneità del passato – opportuna, l’estraneità è un balsamo lenitivo che ti fa automaticamente percepire che tu non c’entri, che non è roba del tuo luogo & del tuo tempo (tutti siamo responsabili del nostro tempo), ma si tratta del prodotto di ere antecedenti, costruiti da genti diverse, aliene, estinte – … insomma oggi a Piazza Cola di Rienzo, dovevo fare un bancomat all’UniCredit, che ha due sbocchi su strada posti sotto un aggetto dell’edificio moderno et cupo, proprio in corrispondenza se non ricordo male, di un griglione di aerazione dello scantinato, che se per caso ti cade la carta bancomat lì dentro sei finito – e di questi due sbocchi uno è vecchio, tutto sputato et graffiato per sfregio, col display quasi invisibile, mentre l’altro no, è più nuovo, non avendo l’UniCredit avuto l’idea, quando ha installato il secondo, di cambiare pure il primo, se non altro per un principio di uniformità et simmetria, di ordine e decoro – … insomma sotto quello stesso aggetto, al riparo dalla pioggia, ma non dal freddo e nemmeno dal vento, c’era una di queste mummie egizie che dovrebbero starsene immobili davanti alla loro cassettina di raccolta dei soldi, consistendo lo spettacolo soprattutto nell’immobilità . Solo che in quel punto, su quel marciapiede di Piazza Cola di Rienzo, non ci passa quasi nessuno, perché non ci sono negozi – non è tanto un diradamento, quanto proprio una caduta verticale del tasso di commercialità che nei dintorni è invece molto alto e tutto dedito all’abbigliamento – e dunque la mummia in questione, benché protetta da tutta quella plastica, cominciava ad agitarsi, aveva freddo e aveva rotto l’immobilità, addirittura parlava, scongiurava i passanti con riconoscibile accento nord-africano (quando si confondono le A con le E, con le I) di dargli qualche soldo: piffavori aiutimi. Una vecchia signora in beige si fermava e frugava e diceva quasi con le lacrime agli occhi di non avere moneta. Io, a parte i pezzi da cinquanta croccanti, appena ritirati dal bancomat, avevo sì e no un trenta centesimi, forse trentacinque e li misi nella cassettina de cartone ai piedi della mummia parlante. E pensavo Dovrei fare come Padre che a tutti i mendicanti, indistintamente, diceva «Ma lei che è giovane e pieno di forze perché invece di chiedere l’elemosina non va a lavorare?».
Ogni volta che recitava la sua formula anti-mendicante io mi vergognavo come un ladro, soprattutto se il destinatario era un monco, uno storpio con moncherino bene in vista, o un vecchio palesemente mal messo.
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