Un amico mi diceva di essere stato molto sensibile al nome proprio «Francesca».
«Per anni mi sono innamorato di quasi tutte le francesche che ho conosciuto», diceva.
«Una francesca in particolare mi aveva devastato, un’estate di tanti anni fa, quando mi innamorai di lei mentre stavo con un’altra. Passai un mese di passione e sensi di colpa, chiuso dentro la casa che mi aveva prestato un amico, le persiane accostate, un caldo infernale, completamente fuori di testa per questa donna. Non mangiavo più. Cioè mangiavo solo mozzarella e bevevo vino bianco. Bevevo Galestro, se non sbaglio».
«È un miracolo se sei vivo. Un mese a Galestro può uccidere chiunque».
Io pure sono molto sensibile al nome «Francesca», perché possiede come una promessa di complessità e sofisticazione, ma non mi sono mai innamorato di una francesca.
In genere mi piacciono tutti i nomi maschili femminilizzati, che ormai si usano poco: Paola, Carla, Giorgia, eccetera. Li trovo sexy.
Ma io non faccio testo, sono un degenerato: mi piacciono le donne con gli occhiali.
Non con quegli occhiali per femmine, mi piacciono le ragazze con montature maschili, rotonde e un po’ pesanti.
Sono incline ad innamorarmi di ragazze con questi occhiali, ormai rarissime.
Mi piacciono le «donne d’inverno» (Paolo Conte le sa, ne ha fatto una categoria lirica a sé, suprema), cioè molto vestite, con gonne e golf di lana, sciarpa.
Sono le donne che fanno parte del pacchetto invernale del rinchiudersi, del rinserrarsi dentro una casa, quando fuori piove e fa freddo, con qualche provvista, per stare assieme, fare l’amore, guardare video-cassette.
Mi piacciono le ragazze coi capelli corti, a caschetto.
Mi piacciono le ragazze senza calze, d’estate (ma anche in inverno).
Mi piacciono le donne che sanno di freddo e d’aria quando tornano a casa.
Mi piacciono le donne quando dicono la parola «no», quelle che mangiano con attenzione senza lasciare niente nel piatto, le donne che ragionano mentre tu dici cazzate, quelle che sanno ri-orientare il discorso con una frase, una battuta.
Mi piacciono le donne che sanno le cose e sanno non-dirle, perché è inutile.
In una donna mi piace il non-capirsi, senza l’insistenza del doversi capire, senza il mito del comprendersi a tutti i costi.
Mi piace l’attenzione, ma anche la distrazione.
Mi piace l’ozio donnesco.
Mi piacciono le cose che una donna lascia in giro, la scia di abiti creme calze scarpe profumi.
Mi piacciono le donne che si chiamano in modo antico, che non si esibiscono in aperti segnali sessuali, che non si scosciano, non si scollacciano, ma che possono rivelarsi, se hai fortuna, realmente disinibite.
Le donne intaccate et seminude, col seno imbalconato mi possono eccitare, anche molto, ma di solito non mi piacciono.
Cioè mi piacciono, ma non mi piacciono.
Mi basta che una donna abbia le gambe depilate, che sia fresca di sciampo, forse un po’ di rimmel sulle ciglia.
Mi piacciono – ma non esistono più – le ragazze coi mocassini.
Mi piacciono le gonne a pieghe, le minigonne a pieghe.
Mi piacciono quelle donne, rarissime, che si muovono in modo felpato, fluido, morbido, che sanno sedersi su una poltrona con un’unica naturale rotazione dell’anca, con flessuosità istintiva, non voluta.
Però mi piacciono pure le donne con mini-gonna, che considero il vertice più alto mai raggiunto dalla Civiltà Occidentale.
Mi piacciono le ragazze che al mare non indossano nulla, o al più un bikini de-strutturato. Di cotone. Coi laccetti.
Mi piacciono le ragazze che sanno essere pallide, che portano bene il pallore.
Mi piacciono le ragazze le cui ascelle non hanno perso la consapevolezza di essere innanzi tutto un refugium, che non si sono adeguate ai soliti standard.
Mi piace guardare le donne mentre armeggiano per accendersi una sigaretta, mi piace guardarle mentre cercano l’accendino nella borsa e non lo trovano.
Mi piace guardarle quando fumano col gomito appoggiato alla tavola, quando scostano la sigaretta di lato dopo averla aspirata.
Mi piace il miracolo di quando guardi negli occhi una donna e ci trovi, rarissimo e inaspettato, un appiglio.
Mi piace quando – indipendentemente da ogni possibile seguito, da quello che potreste dirvi o non dirvi, se mai vi conosceste – si produce un istante che pare di riconoscimento reciproco, qualsiasi cosa la parola riconoscimento voglia dire.
Cioè quando hai la sensazione che c’è ancora vita sulla Terra.
[Queste note sono state scritte sotto l’influenza di tre album a fumetti di Bastien Vivès: Le goût du chlore (2008), Dans mes yeux (2009), Amitié étroite (2009), da cui è tratta l’immagine qui sopra. Bastien Vivès ha 26 anni e possiede un’eccezionale capacità di percezione – e di restituzione – dello specifico femminile.]
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