lunedì 15 febbraio 2010

Il contadino e il samurai

Ogni tanto nelle università americane qualcuno si mette a sparare, abbastanza a casaccio, e ammazza un sacco di gente. Ogni tanto uno di questi campus tutti de mattoni con prati verdi et grandi alberi – così lontani dalle nostre scrause sporche sovraffollate dis-attrezzate università situate in fondo alle classifiche mondiali di qualità, tipo dopo il Gabon e subito prima dell’Inguscezia – si trasforma temporaneamente in un mattatoio, com’è ancora una volta successo a Huntsville, Alabama, (anche se stavolta era una docente, a sparare) La mia tesi è che il campus universitario statunitense sia un'orrida caldera di competitività, dove esplicitamente si formano i dominanti e i dominati, dove chi percepisce la propria inadeguatezza rispetto a quel sistema ogni tanto va fuori di testa e spara.
Da noi l’automatismo nel rapporto tra carriera studentile e successivo excursus vitale, intesa l’una come necessaria premessa dell’altro, non c’è. Qui le cose sono più complesse, difficili, confuse, corrotte. Però chi non passa all’esame di solito non spara a nessuno, (più frequente il suicidio della strage), lo rifà all’appello successivo.
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L’inchiesta sulla corruzione negli appalti della protezione civile mette in luce, come ce ne fosse ancora bisogno, la delicatezza estrema del contatto tra la sfera esistenziale della pubblica amministrazione e quella dell’imprenditoria. Il funzionario pubblico ha uno stipendio definito, una carriera dotata di solito di un tetto oltre il quale non può andare, un potere limitato, delle regole da seguire, in teoria molto rigide, scarsezza di mezzi a fronte di responsabilità abbastanza pesanti, una facoltà molto limitata di scelta del personale, eccetera. Insomma un vivere e un agire pieni di vincoli e anche di frustrazioni, però compensati da sicurezza stabilità certezza del posto di lavoro.
La sfera dell’imprenditoria con annessa specifica mentalità, si situa esattamente all’opposto della modalità esistenziale pubblico-impiegatizia: nessun limite ai potenziali guadagni, potere quasi assoluto nel costruire e dirigere la propria struttura, tendenza a fare a meno di tutte le regole, disponibilità di mezzi quando servono, facoltà di scelta e di licenziamento del personale e dei collaboratori. In cambio l’imprenditore non ha nessuna garanzia a priori della riuscita della sua azione, nessun guadagno certo, una vita di tensione & incertezza, e sempre con la tentazione della scorciatoia illegale: anzi, la sensazione è che imprenditoria e illegalità siano legate da un vincolo quasi strutturale.
È l’inerzia degli stanziali a fronte del dinamismo dei nomadi. Coltivatori conservativi a fronte di scorridori trasformativi. In un clima culturale che prevalentemente agisce nella direzione del de-prezzamento (fino all’aperto disprezzo) del pubblico come luogo indegno dell’ozio del demerito della corruzione dell’inefficenza, in favore di una continua esaltazione del privato, mostrato come il luogo dell’efficienza della ricchezza della competizione del rischio, quindi del coraggio, eccetera, si produce una pericolosa frustrazione nel funzionario pubblico, dello stanziale che finisce per percepire la propria come un’esistenza demmerda, finisce per invidiare il nomade, lo scorridore, il predatore. Cancellate, o molto compromesse, dignità e prestigio, al funzionario pubblico resta solo il senso di inferiorità del contadino vincolato ad una condizione e a un luogo fisico/istituzionale nei confronti del samurai che invece si muove liberamente: a quel punto – la sensazione arriva molto presto – è pronto per essere comprato.

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