lunedì 22 marzo 2010

Tra i molti fenomeni nuovi della seconda metà del Novecento c’è la massificazione di alcuni grandi artisti. Leonardo, Van Gogh, Monet, Modigliani, Matisse, Picasso, sono i nomi che mi vengono in mente per primi. Ma nel lotto c’è anche Vermeer, per esempio, e Gauguin e Klimt e Schiele. E Michelangelo, naturalmente. Forse Michelangelo è stato il primo in assoluto a subire quel processo estremo di divulgazione e consenso di massa che portano dritti al kitsch. Da un paio di decine d’anni sta toccando a Caravaggio. A questo punto occorrerebbe quanto meno una definizione del kitsch quando si riferisce alla fruizione de massa di un grande artista. Mi viene in mente una meravigliosa vignetta di Bucchi che uscì su Repubblica parecchi anni fa, quando una mostra su Van Gogh provocava un concorso di massa mai visto prima. Vi si rappresentava un dialogo tra due coattoni de Roma: uno dei due indossava una maglietta con un autoritratto dell’artista e diceva: «Aho, Van Gogh co’ du’ pennellate te stende!». L’altro rispondeva: «E li mortacci de Mondrian!». Il kitsch di questo tipo potrebbe definirsi in vari modi, tra i quali metterei la mitizzazione biografica secondo il modello genio e sregolatezza, il maledettismo, l’assolutizzazione del valore estetico delle opere dell’artista (il più grande, il più bello, eccetera), la mitizzazione di alcune sue caratteristiche peculiari ( i «colli lunghi» de Modigliani, le «pennellate» di Van Gogh, il «vigore» e il «non finito» michelangioleschi, la «grazia» di Raffaello, eccetera), caratteristiche di solito oggettivamente presenti, ma alle quali non è bene ridurre la percezione delle opere di quel determinato artista. Quindi il kitsch artistico sarebbe un po’ come il kitsch turistico: vai e vedi ciò che sei già pronto a vedere, ciò che ti aspetti e che ti ri-conferma nell’idea che avevi prima di uscire di casa. Se ne potrebbe dedurre che il kitsch artistico produce una percezione circolare, che riconduce l’osservatore sempre a un punto di partenza pre-costituito in quanto pre-giudizio estetico, vale a dire opinione senza giudizio. Nessuno di noi è completamente esente dal kitsch artistico: nell’ultima mostra di Rothko vista l’altr’anno a Londra, mi commuovevo davanti alla serie degli «ultimi quadri» dell’artista, poi morto suicida, perché vedevo i colori scuri e le composizioni elementari di quelle tele non in sé, ma come riprova dell’imminenza di un tragico destino che già conoscevo. Leggevo in senso patetista la deprivazione del colore, non come una scelta artistica cosciente e legittima, ma come il portato di uno stato d’animo che era già di rinuncia al mondo: mentre la precedente opera di Rothko mi provocava puro piacere, un godimento quasi carnale, qui leggevo solo una desolazione depressa e pre-suicidio. In occasione dei 400 anni dalla morte si è aperta la mostra su Caravaggio alle Scuderie del Quirinale. Caravaggio tira molto, si verificano file chilometriche. Giorni fa un occhiello di Repubblica on line recitava così: «Alle Scuderie 24 dipinti certificati. Con la primizia della "Canestra di frutta": le più belle foglie morte e la più bella mela bacata della storia». La frase che ho messo in corsivo è kitsch artistico del tipo più puro. Dicevo che tra le componenti principali della massificazione di un artista ci sono la mitizzazione della sua esistenza e l’accentuazione delle caratteristiche saturnine della sua figura, nella direzione di ciò che comunemente ci si immagina debba essere un artista: non uno «normale», ma un esagitato pieno di una «sensibilità» preclusa ai comuni mortali. Se poi nella sua biografia c’è un qualche «mistero irrisolto», tanto meglio. Non si può dire che la vita di Caravaggio non fornisca in questo senso materiale più che abbondante: il copyright del pittore «maledetto» è suo di diritto. La potenza espressiva, che certo non gli manca, si somma alla tragedia della sua vita, producendo un mix di grande attrazione e fascino che ha costituito materia per innumerevoli libri e biografie e trattazioni e fiction televisive. La fiction, televisiva e filmica, non ha risparmiato nemmeno Michelangelo (Charlton Heston: muscolare e scontroso e affanculo il Papa/Rex Harrison), Leonardo (Leroy: pensoso & indagatore, con molto rimmel), Van Gogh (l’orecchio tagliato di Kirk Douglas), Picasso (Hopkins: vitalista et scopatore: maglietta a righe) e molti altri. Di recente si è fatto un film persino su uno come Vermeer, che stava sempre in casa. Le fiction sugli artisti e la forza della loro opera si implementano a vicenda, costruendo il mito di massa che porta dritto al kitsch. Però sono convinto che alla base del mito di un artista ci sia il valore della sua opera e la sua capacità di raggiungere il grande pubblico, facendo a meno della mediazione critica. I motivi della maggiore capacità di penetrazione emotiva (dunque estetica) di alcuni artisti rispetto ad altri non saprei individuarli (per esempio: perché Caravaggio sì e Guido Cagnacci no?), ma è lì che si annidano le cause del successo mediatico. Si è teorizzato, per esempio, che la fortuna novecentesca degli impressionisti sarebbe dovuta alla fotogenicità di questa pittura, alla resa in riproduzione della loro tavolozza...

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