domenica 9 maggio 2010

Appunti dall’isola_2

In questo momento qualcuno sta lavorando da qualche parte, forse un muratore, forse un idraulico. Più probabilmente un muratore, perché adesso sento il rumore che fa la fratazza quando si stende l’intonaco. Il silenzio, quando è potente, come qui, è una specie di cane da riporto di ogni suono, vicino o lontano che sia. Sulla punta del molo grande, più o meno a cinquecento metri da qui un marteau piqueur sta lavorando alacremente sul cemento: immagino stiano riparando il fanale: rompono il cazzo non poco, ma solo a me: per il resto del villaggio rumore è vita.
Un’ora fa – è già passata un’ora e io sono ancora al punto di partenza... – un giovane non tanto giovane rumoreggiava atrocemente con un motorino smarmittato, ed erano le otto del mattino: chissà cosa doveva farci con quel motorino: alla fine dopo un paio di giri a vuoto si è avviato a tutto gas verso il molo grande dove non c’è niente, salvo forse il postale che parte a quell’ora per Pigadia. Andare in moto qui significa fermarsi ogni tanto a parlare con qualcuno lasciando rigorosamente il motore acceso, anche per una mezz’ora se occorre: si può anche scendere dalla moto per prendersi un gelato al bar lasciando il motore acceso: purché qualcosa faccia del rumore. Tutti sembrano preoccupati dal silenzio e si adoprano per romperlo in ogni modo. Come se il troppo silenzio andasse a tutti i costi contrastato, perché se prendesse il sopravvento allora qui davvero si arriverebbe a sfiorare l’area liminare tra esistenza e non esistenza, si questo diventerebbe un villaggio dei dannati, di morti viventi: per questo motivo, non ostante qui non accada nulla, tutti parlano così tanto, in continuazione, per tutto il giorno, gesticolando, producendo i suoni necessari a testimoniare della loro esistenza in vita. Gli unici a tacere sono vecchie e vecchi all’ultimo stadio, magrissimi tutti e tutti vestiti interamente di nero (qui la morte dei famigliari, benché sia come altrove una cosa naturale e prevedibile, produce uno stato di inconsolabilità totale, perenne, eterna, irrimediabile e si esprime per il resto della vita con il colore nero), che siedono da soli in silenzio come fossero già morti, già andati, già saliti su, al cimitero. Il cimitero è (assieme a due o tre chiese sparse nell’isola) un luogo cardine della comunità: tutte le donne che hanno morti, recenti o meno, per anni e anni salgono sulla collina anche due volte al giorno per prendersi cura dei lumini sulle tombe dei loro cari: sempre devono restare accesi, altrimenti chissà cosa succede e, soprattutto, poi il paese ti parla dietro. L’incubo dei posti come questo, oltre al silenzio che implementa il più piccolo rumore, è il controllo sociale: nulla di ciò che viene fatto o detto, o non detto quando era il momento di dirlo, o non fatto quando andava fatto, si viene a sapere. Insomma l’intero comportamento di ogni singolo individuo viene tenuto sotto controllo stretto e riferito. Soprattutto quello delle donne, poveracce, che non alzano dito che non si risappia, anche se sono soprattutto le donne a tenere le redini dell’intero controllo, più come passa-tempo che altro: occorre stabilire momento per momento se in paese ci siano «puttane» oppure no: naturalmente, malgrado la quasi totale assenza, in questa stagione di femmine, sotto i sessant’anni di «puttane» ce n’è e a iosa. All’uomo non viene imputato nulla o quasi, essendo «per natura» sessualmente de-responsabilizzato: se qui tra due persone accade qualcosa di erotico, la causa è la femmina e sua la responsabilità. Tutto è costantemente monitorato e lo scopo del monitoraggio è avere una qualche cosa da dirsi, nel nulla e nel silenzio dei luoghi: se tu, a qualsiasi ora del giorno o della notte, hai deciso di andare dal punto A al punto B del villaggio, devi sapere che in nessun caso il tuo spostamento passerà inosservato. Lo stesso accade per tutto quello che dici, purché abbia rilevanza sociale, esistenziale. Vale a dire che, purché abbia che fare con amori e/o stato di salute, viene messo subito in comune, cioè in circolo, in rete. Intanto la Rete, cioè il web, che collega al resto del mondo, funziona malissimo e a singhiozzo.

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