lunedì 28 giugno 2010

Saettone
Aveva deciso di trasformare in abitazione la vecchia stalla al piano terra. Muri in pietra molto rustici, tirati su alla meglio, di un certo spessore, ma un po’ sconnessi, la malta quasi del tutto polverizzata, un locale abbandonato da decenni. Appena cominciò a ripulire, gettando via attrezzerie e ciarpame, saltarono fuori questi nidi di serpenti abruzzesi, grossi. Quelli che non scappavano gli toccava ammazzarli a bastonate.
Cominciò a lavorare sui muri, intonacandoli a paro, ma occorreva chiudere nicchie e buchi e crepe, col cemento. Salito sulla scala buttò l’occhio in un grossa fessura, appena in tempo per vedere la testa di un grosso saettone nero che ritraeva all’interno. Cercò di estrarlo con un bastone, ma niente, quello si era annidato chissà dove nel buio del muro. Decise di cementare tutto lo stesso, murando vivo il serpente e così fece. Lavorò nella stalla una settimana, da solo, il grosso della stuccatura era fatto, mancava ancora qualche fessura in alto. Poi partì e tornò dopo tre mesi. Entrò nella stalla e vide che dal muro, in alto, pendeva qualcosa. Si avvicinò, era lo scheletro coperto di pelle di un grosso serpente nero, che usciva per metà dal muro. Si ricordò del saettone che aveva murato. Aveva trovato la strada per uscire strisciando all’interno del muro nelle commessure tra pietra e pietra, ma l’ultima fessura, quella della libertà, era troppo stretta, si era incastrato a metà corpo, restando lì appeso per chissà quanto tempo, e morendo alla fine di fame e di sete. Ora io penso al contorcersi fino alla morte di quel serpente, stretto per metà nella muraglia, mentre cerca con tutte le sue forze un appiglio per liberarsi, fino allo sfinimento, all’inedia, alla rassegnazione, e credo che questa storia (vera) significhi qualcosa. Ma cosa?

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