venerdì 13 agosto 2010

Cocci

Tempo fa Alfonso Berardinelli, sul Corriere della Sera citava dal libro Moderno Antimoderno (Aragno) di Cesare De Michelis, «Sono quarant' anni e più che il Novecento mi sfugge nella sua identità, eppure (...)». Questa frase mi suonava strana: perché mai un secolo, che è solo una convenzionale ripartizione numerica del tempo trascorso, dovrebbe avere un’«identità»? E cosa si intenderebbe per «identità»? Essendo nato nell’anno della fine della Seconda Guerra Mondiale, ed essendo quindi vissuto per 55 anni nella seconda metà del Novecento, io mi dichiaro «novecentesco», ma solo per differenza rispetto a un presente che mi diventa ogni giorno più estraneo et non comprensibile. In quanto alla parola «novecentesco» posso solo elencare una serie di caratteri (di tutti i tipi) che distinguono i tempi da me vissuti (nei quali mi sono «formato»), dal fronte del presente, ma non riesco a pensarli in termini di identità, se non facendoli risalire a molto tempo prima, cioè al Rinascimento per la forma, all’Illuminismo per le idee. Dato l’arbitrio (e la necessità) di (quasi) ogni partizione tempo-numerica, ognuno scelga la sua. Per quanto mi riguarda, oggi vivo in un tempo che è fuori sia dalla visione prospettica e tri-dimensionale dello spazio (Rinascimento), che dalle questioni assolute e di principio, cioè dalla volontà di modificare, alla radice e per via politica, la condizione umana (Illuminismo). Se siamo fuori del Novecento è perché siamo fuori (credo… ma non ne sono sicuro, vado a naso) da quelle cose lì ed è perché siamo fuori da Marx, che si installa nella coscienza dell’Occidente alla metà del XIX Secolo e si disinstalla dalla coscienza mondiale a partire dal 1989 (va bene, diciamo a partire da dieci anni prima). Per esempio: è esistita un’era marxista che ha scavallato l’Ottocento e invaso il Novecento? Che ha attraversato modernismo, anti-modernismo, fascismo, nazismo, capitalismo, avanguardia e reazione e tutti gli innumerevoli ismi otto-novecenteschi? Io credo di sì, è esistita. Ecco allora che la periodizzazione, se si basa sulla storia delle idee, può tranquillamente ignorare la partizione in anni e secoli. E ovviamente lo stesso si può fare considerando la storia della scienza e della tecnologia, quella dell’arte, della letteratura, eccetera, con tutte le possibili inter-secazioni. Aggiungendo ancora qualcosa, e semplificando ancora di più, si potrebbe affermare che oggi, a una visione/organizzazione che tendeva a un’unità sistemica & ideologica, si sostituisce una visione/organizzazione dis-unitaria (ma sempre ideologica), cioè per frammenti, senza che si manifesti la volontà da parte di nessuno di compiere una qualche sintesi più ampia per andare oltre il qui-oggi-noi. Non a caso mi sembra che gli unici pensatori di successo siano oggi i sociologi, tesi come sono nello sforzo di dirci il contemporaneo e però soprattutto in forma a-sistematica, con lo stesso uso sfrenato di metafore in voga nel pensiero francese (et francesizzante) novecentesco, anche questo di gran successo, in quanto anticipatore e leggittimatore dell’imprecisione evocativa, dell’affermare senza bisogno di comprovare, dello smontare senza rimontare, lasciando in giro pezzi di realtà alla mercè dello smarrimento generale. Quando è cominciata questa che a me sembra un’inversione di tendenza epocale? Non saprei rispondere con precisione, ma de sicuro ben dentro il Novecento. È nel Novecento che si insedia l’oggi, che a me appare così estraneo, e allo stesso tempo è nel Novecento che viene propugnata e praticata quella continuità con Rinascimento & Illuminismo. Quella continuità a cui mi sono formato io, marxista prospettico ormai del tutto obsoleto, quella stessa continuità che ha cominciato silenziosamente a rompersi verso la fine dei Settanta. I cocci di cui sono cosparse le nostre vite sono più antichi di quanto sembri.

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