lunedì 16 agosto 2010

La spiaggia non-deserta

Entriamo nella baia di Opsi verso l’una. È un grande arco di spiaggia chiuso verso sud da una formazione di roccia, mentre a nord si conclude con una sequenza un po’ più complicata di promontori e spiaggette e scogli affioranti. Le rocce a nord sono rosse e terrose, quelle a sud grigie, quasi nere, più dure, ma non del tutto rocciose: si tratta di limi abissali stratificatisi milioni e milioni di anni fa et successivamente emersi in modo obliquo e caotico, compressi, spezzati. Sono rocce dove le tracce della vita sono infime e rare, impronte di vermi, per lo più, oppure i frammenti fossili di piccolissimi tubuli. Conosciamo bene questo posto*, ci veniamo da anni, sappiamo che quando il vento di terra soffia forte l’unico riparo è una grotta nel promontorio sud e sappiamo anche che verso le due del pomeriggio sotto lo strapiombo c’è abbastanza ombra. Oggi l’acqua è calma e trasparente, la poca aria che tira è caldissima. La baia sarebbe vuota se non fosse per quella barca. È un cabinato dall’aria comoda, ancorato a un centinaio di metri dalla riva. Batte bandiera olandese, a prua c’è scritto Volare. Sotto un tendalino vediamo seduti un uomo barbuto e una donna, chiari di pelo e entrambi in età, che ci salutano cordialmente. Nessun problema e però la baia non è vuota, non è deserta come invece la vorrei. Tra una spiaggia deserta e una spiaggia non-deserta la differenza è tanta, anche se si tratta solo di poche persone, o di un solo oggetto, come questo sloop. È una questione di qualità estetica dell’esperienza che si compie, direi di qualità spirituale, se anni fa non mi fossi prefisso di non usare mai la parola spirito e i suoi derivati. L’essere nudi e soli a Opsi è diverso dall’essere nudi e soli in presenza di una barca all’ancora in mezzo alla baia. Una sola elegante innocua barca a vela è capace di deformare e influenzare la percezione di tutto lo spazio circostante, a cominciare dalla primaria profanazione della linea dell’orizzonte, che questa barca taglia, interrompe. Non solo: il Volare crea due semispazi d’acqua, quello al di qua, verso la riva e quello al di là di esso, verso il mare aperto. Così facendo produce una lesione percettiva dell’unità della baia come grande camera d’acqua, perché vi si introduce e vi si insedia con maggior forza dei nostri teli stesi a terra. Il Volare abita Opsi prima di noi e più efficacemente. Questo provoca una nostra oggettiva diminutio come provvisori padroni di questo spazio, noi che ci immaginavamo nudi e soli a fronte dell’orizzonte e che invece dobbiamo fare i conti con questo oggetto galleggiante, di cui siamo per tutto il pomeriggio costretti a osservare, valutandola, la forma tecnico-estetica.** Il vento sale col girare del sole, mi fisso a osservare le movenze della barca sotto raffica, il suo volgere la prua prima su un lato poi sull’altro, come un asino che si opponga alla cavezza, ma lentamente. È Estate piena, penso (si ode solo il fruscio dell’onda che scompiglia lievemente i ciottoli della riva). Poi penso ancora: ecco la Sacra Estate mediterranea cui non rinuncerò mai. Quando verso le quattro mezza il Volare leva l’ancora e va via a forza di motore, ci accorgiamo di quanto la sua presenza fosse importante, di quanto senza volerlo abbia condizionato la nostra giornata, il nostro stare presso la riva, nell’acqua o sulla terra. *Qui, da qualche parte, tra le pietre di questa spiaggia riposano le ossa delle dita della mano destra del vecchio Protopapa, la volta che gli saltò l’avambraccio mentre cazzeggiava con certa polvere da sparo da far esplodere nell’acqua, scopo strage di pesci: alle nostre spalle il monte Profitis Ilias è coperto da un cappuccio di vapore acqueo. ** Se guardi una barca ti si innesca immediatamente nel cranio la modalità di giudizio mi piace/non mi piace, la vorrei/non la vorrei, me la potrei comprare/non me la potrei comprare e, se hai tempo, inizia la valutazione tecnica vera e propria, si produce la discussione tra chi la dice bella e chi dice naa è una cazzata, tra chi invidia le persone a bordo e chi (sempre le invidia ma) non lo dà a vedere: guardare una barca disturba il bagnante sulla riva.

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