sabato 21 agosto 2010

Il bios intorno a noi

Formiche velocissime tra i ciottoli roventi di Alissia, spiaggia piccola super-deserta arida, ventosa al limite della sopravvivenza, interessate alla busta con dentro il nostro parco cibo, tipo crakers Papadoupolos formaggini la Vache qui rit, miele Attiki, ottimo imprescindibile pasteli marca Orino, pesche, uva, bananas. Di cosa normalmente si nutrono qui, tra questi sassi, le formiche, quando noi non ci siamo? Altre formiche ma diverse più astute nel nascondersi e nel fuggire infestano stamane il contenitore di petit beurres Papadoupolos da cui attingo i sei (di numero) biscotti che mi servono per colazione. Il lavoro di dis-infestazione è lungo, complicato dal vento che soffia su terrazzo, capace di far volare via, assieme alle formiche, l’intero lotto di papadopuli. Una grossa et silente blatta ci visitò l’altra sera, solo per venire a sapere anzitempo in cosa consista il morire e l’eventuale ma improbabile aldilà. Con le blatte mostro il massimo del coraggio consentitomi dalla mia vile natura, al punto che dopo l’uccisione il cuore mi batteva a mille. Sul fondale della piccola baia di Alissia si vedono bene due o tre tane di polpi, vuote. Li avranno uccisi? Sono state abbandonate? I titolari sono a caccia qui in giro? Se smuovi con i piedi i piccoli ciottoli che formano il fondale nei pressi della riva, di Opsi come di altre spiagge, vedi subito accorrere donzelle, saraghetti, microscopiche triglie, pescetti vari, a contendersi quanto di organico e edibile si nasconde nella sottile nuvola di melma rarefatta che si forma. Questa di richiamare col cibo piccole creature diventa un’occupazione che mi riempie il pomeriggio e la mente, ormai quasi del tutto evaporata. Gatti magrissimi rognosi speranzosi aggressivi viscidi si umiliano sotto il tuo tavolo al ristorante, non appena sentono odore di cibo, soprattutto se percepiscono pesce. Flessuosi, longilinei, spelacchiati niente affatto socievoli, tradiscono odio o forse indifferenza selvaggia nello sguardo, mentre sono costretti a miagolarti fra le gambe per non morire di fame. Se gli getti qualcosa il gestore del locale si secca e ne ha buoni motivi: il pavimento si sporca e i gatti che accorrono sono troppi. Non è un posto per gatti, questo, e nemmeno per cani e neanche per blatte (sempre meno se ne vedono per istrada giacere zampe all’aria o schiacciate e quindi fulminate e congelate nell’istante prima di morte, a fare da cibo per formiche, queste sì carnivore: spero non siano le stesse che poi si introducono nella mia confezione di biscotti. Basilio allunga una mano sullo scaffale per prendermi appunto una scatola di biscotti (buonissimi, spero gli abbiano dato il premio mondiale del Miglior Biscotto) che mi appoggia sul banco e che io regolarmente mi accingo a pagare quando mi accorgo che c’è qualcosa che non va. La prendo e la rigiro tra le mani ed ecco che un lato del parallelepipedo formato dalla pila di petit beurre strettamente incellofanati mi appare come scucchiaiato et profondamente ma regolarmente eroso, plastica e biscotto, da un fine lavoro di denti di roditore. E Basilio si vergogna di avermela proposta, la prende e la fa sparire in un baleno, offrendomi poi a risarcimento dello shock (lui da anni mi fa regali) un paio di confezioni di pasteli marca Orino (e a me torna in mente un’aranciata che si vendeva in Jugoslavia ai tempi di Tito, che si chiamava Pipì). Rumor di tortore all’alba. E poi le vedi volare faticosamente nella valletta, per andare a posarsi su un filo o all’apice di un palo, restarci per un po’ rigorosamente da sole e poi riprendere quel volo sfiancato, forse per il vento, verso qualche altra meta senza senso apparente. Mi viene in mente una cosa letta su un libro di divulgazione scientifica: gli uccelli che non hanno nemici naturali a terra smettono di volare e ri-diventano dinosauri, terrestri et piumati. Qui le tortore nemici ne hanno, i gatti, quindi da loro mi aspetterei più efficienza, più scatto. Provo a staccare una patella molto grossa dallo scoglio. Non ci riesco, ci vuole il coltello, ma non ho voglia di farle del male. Provo con un’altra più piccola, faccio in tempo a mettere le unghie nello spazio tra guscio e scoglio prima che l’animale riesca a schiacciarsi alla roccia. Per qualche secondo è un braccio di ferro. Io tiro, facendomi male alle unghie, lei aderisce al supporto con tutta la forza che ha. Se resistesse un altro istante mollerei, ma è lei a mollare e lo fa di colpo. Osservo il mollusco-ventosa, i due cornetti, mi domando se abbia occhi, che tipo di percezione dell’esistente gli sia concesso. La mostro ad A. che però non è interessata. C’è gente che le mangia, le patelle, le sguscia lì per lì col coltello e le mastica vive. La rimetto sullo scoglio. Sulle dita mi resta un odore forte del tipo che suole dirsi «di mare». Foche. Chissà perché le foche sono al vertice delle preoccupazioni degli animalisti, dei verdi-naturisti, degli ambiental-buonisti. È come per i cetacei, i delfini. Per loro c’è massima tensione alla salvaguardia, mentre che il merluzzo dei banchi di Terranova si sia praticamente estinto non frega una nerchia a nessuno, come pure non interessa che qui, all’isola, il mare in pochi anni sia praticamente morto. Cernie e murene? Scomparse. E cosa ne è stato di quei branchi di meravigliosi enormi cefali che verso le quattro del pomeriggio entravano sotto costa a frugare tra gli scogli? Spariti. A nessuno frega che qui in Ellade si peschino ogni giorno migliaia di karavidas (cicale di mare, da noi quasi estinte), che un tempo si trovavano anche a un paio di metri di profondità e oggi stanno in prevalenza sotto un cento metri d’acqua, come le aragoste. Massimo invece l’interesse per la tartaruga e gli stronzissimi «santuari» dove depone le sue fottute uova a centinaia, sorvegliate e salvaguardate da volenterosi fomentatissimi animalisti, tanto che oggi, tuffandoti da una barca, rischi di dare una craniata sul guscio di una Caretta caretta. Qui le foche tutti le hanno viste tranne me. Pare siano aumentate, si lamenta Costa: a lui gli strappano il pesce dalle reti e se potesse le prenderebbe a fucilate, come peraltro ha sempre fatto. In somma e solo per fare un esempio, perché l’animalista e l’ambiental-buonista e il verde de «sinistra», se muore una tartaruga si strappano i capelli, mentre non gliene può fregare di meno, per dire, del maiale?* *Che oltre-tutto è molto più intelligente e spiritoso della tartaruga e più simile a noi, al punto che talvolta ci fa da donatore di organi e stanno già pensando di creare maiali geneticamente modificati nel senso di una maggiore compatibilità biologica con la scimmia nuda, così davvero e definitivamente del maiale non si butterà via niente e sai che festa a gennaio, quando lo si sgozzerà davanti a tutti, lasciandolo oscenamente a dissanguarsi appeso a testa in giù, mentre un mezzo veloce dell’Asl locale starà lì ad aspettare l’espianto del cuore da trapiantare da lì a poco in un cardiopatico, magari pure un’uomm’emmerda.

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