martedì 14 settembre 2010

Casa piena

Stracci e carabattole (ammesso che si sappia cos’è una carabattola), libri, pure troppi per quello che ne so (leggo poco, compro molto: coi soldi dei libri mi ci ero fatto la barca, a quest’ora: solo ieri ne ho presi quattro: di questi, tre faccio finta che mi servano per il libro che sto scrivendo, il quarto con la tessera Feltrinelli mi veniva due euri), libri-covo-di-polvere e muffe, nido e paradiso di insetti piatti argentati, con crestine e antenne, veloci (ogni tanto uno finisce non so come nella vasca da bagno, senza riuscire più ad uscire: apro l’acqua e va giù per lo scarico: o io o loro): in cucina, per dire, caffettiere nel numero di quattro per via del caffè che c’è chi lo vuole decaffeinato e chi no: fare una lista sarebbe possibile delle cose affastellate in questa casa, se solo si sapesse quante e dove sono: solo sul tavolo vedo: penne su penne e matite e blocchi di carta, quaderni, gomme su gomme, astucci per occhiali, tempera-matite a manovella (non-rinunciabile), pennarelli e evidenziatori che si vanno asciugando dentro cilindri de coccio, acciaio inox, vetro (Ikea) e torce elettriche a batteria nel numero di tre (sono aumentate), più una di quelle che si applicano in testa,con luce a led sulla fronte, così comoda che l’idraulico me l’ha quasi scaricata l’ultima volta che è venuto a fare un lavorone sotto il lavello, intridendone la fascia elastica del sudore della sua fronte («ammazza, ‘sta lampada, me sa che me la compro…) e un coltellino Vittorinox sul tavolo, con attaccato un galleggiante da tramaglio (mi serve l’estate per sbucciare le pesche in spiaggia, per preparare barchette a vela, inaffondabili): un peso da filo a piombo, in ottone, fascinoso, vaschette con residui oggettistici novecenteschi, alcune cucitrici, di cui una a punti grossi per fascicoli di quaranta, cinquanta pagine (un'altra cucitrice è antichissima, marca Zenith, perfettamente funzionante, era di Padre, ma seppellirà anche me: se non avessi deciso di farmi cremare, la vorrei con me nella tomba): forbici, mai sono sazio di forbici, perché esiste sempre una forbice più bella di quella che già hai: un cellulare nel senso di telefono, un tele-comando de climatizzator Mitsubishi, il mio fido Mitsubishi, che d’estate cambia i miei rapporti col mondo: fermagli del tipo grosso che usa A. per pinzare i manoscritti: elastisci lunghi e gialli che hanno lo stesso scopo di tenere assieme montagne di carta: una lampada Nasca Loris, bianca, del tipo che non si rompe mai, del tipo morirai prima tu prima che io mi guasti (in effetti in cantina sopravvive la Nasca Loris nera di Padre, che pure morì nel ’91, ma io la lascio lì a marcire, anche se la cantina è asciutta, anche se la lampada funziona…): set di caccia-viti di precisione (anch’esso perfettamente inutile, ma non-resistibile: quanti ne ho comprati?), mai una volta mi sono serviti: calcolatrice solare Sharp, residuo novecentesco, di quelle che non si usano più, anch’essa sembra durare apparentemente all’infinito, indistruttibile (supera regolarmente la prova di radice di 2 al quadrato, che deve tornare 2): una chiavetta porta-dati da 4gb, firmata www.chiasacattolica.it da un lato, mentre dall’altro vi è inciso un pastore con alti stivali, borsa a tracolla e agnello sulle spalle (dunque è corretta la definizione di pastore tedesco per Ratzinga), attaccata a un collare marchiato invece FestivaletteraturaMantova (per non perderla: ma come mai la possiedo?): una confezione aperta di fazzoletti di carta marca Conad (l’ormai storica scomparsa dei fazzoletti di stoffa…), «ultramorbidi», con l’orsetto che si soffia il naso, ma anche un recentissimo (per raffreddore preso in aereo) erogatore di Kleenex (che assieme allo Scotch e ai Post-it e alla carta da cucina Scottex, ha cambiato il mondo): e poi modem, stampante, un immagazzinatore di dati marca Lacie, una presa usb multipla marca sticazzi: cavi per ricarica obsoleti di cellulari e fotocamere morti e sepolti, ma bisognerebbe provarli uno a uno, prima di buttarli…

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