giovedì 9 settembre 2010

La Citroen C3

Ripesco in un file di appunti del 2003 la testimonianza autentica di un uomo (io) che aveva bisogno di una macchina nuova. Questo qui non c’ha una lira, pensa palesemente il tizio dietro la scrivania. Mi guarda mentre entro e gli si legge in faccia questa cosa che pensa di me. Io guardo lui e penso a mia volta: effettivamente non c’ho una lira. Poi mi dico: si vede così tanto? Da che si vede? Da come sono vestito? Dalla faccia? Dall’atteggiamento? Lui lo vede che non c’ho una lira e mi fa palesemente capire che lo sa. Mentre la porta si chiude lo guardo meglio mentre lui guarda meglio me. Non ci piacciamo per niente a quanto pare. Io mi ripeto, come Gertrude Stein,: un commesso è un commesso è un commesso... Ma non è esattamente un commesso. È qualcosa di più e di meno. È uno che sta lì alla concessionaria Citroen a vendere macchine.
Veste con un completo color can-che-scappa coi pantaloni stirati di fresco e ha una camicia a rigone blu diagonali, col collettone. Porta una cravatta bluastra con disegnini indecifrabili e confusi, alla quale ha fatto un nodo enorme, su cui persino il collettone gigantesco che porta si adagia con fatica. Capelli rasati stile guardia del corpo e occhiali neri a fascia tirati su, sulla fronte. Abbronzatura color mattone e pizzo. Quando gira, con noia evidente, attorno alla scrivania per venirmi incontro, anzi evidentissima, la noia, al punto che ho voglia di girare i tacchi ed andare via, noto che porta un paio di scarpe a punta quadra, a becco di papera, marronastre. Orrore, penso. Credo che le scarpe siano lo specchio dell’anima, anche se non so perché. È alto e atletico. Palestrato, penso. Lì accanto c’è questa C3 celestina, metallizzata, che è il motivo per cui sono entrato. Dica, dice lui. Anzi dice “diga”. Hm...buonasera volevo informazioni sulla C3, “digo”, mentre mi avvio verso la C3 e la guardo da vicino senza sapere cosa pensare, che atteggiamento prendere. Lui ha capito al volo, non solo che non ho una lira, ma che non capisco un cazzo di macchine. Effettivamente non capisco un cazzo di macchine, penso io. E poi penso: si vede così tanto? Da cosa l’avrà capito se non ho aperto bocca? E poi non c’ho diritto di non sapere niente di macchine? È un commesso, è un commesso, è un commesso, è un fascista mi sa, e pure uno stronzo, è un laziale, si vede che è un laziale, penso. Lui mi chiede: cosa vuole sapere? Farfuglio qualcosa e lui si mette a snocciolare un po’ di dati e caratteristiche. È annoiato, questo tipo. Mi sembra che invece vorrebbe dire: ma che entrate a fare se volete chiedere ‘ste cose? Non ve le potete leggere su Quattroruote? Tanto a te di sicuro ‘sta macchina non la vendo. Si vede benissimo che non la compri. Che oltretutto non c’hai una lira. Non riesco ad ascoltarlo. Lo guardo e penso ad altro, ma a cosa? A nulla in realtà. Sono come sospeso in aria, tra me e lui. Tra un me che fa finta di ascoltare e un lui che parla automaticamente e palesemente pensa ad altro. Anche lui è sospeso, penso. Anche se non so chi è in realtà che pensa quello che penso. Quale io-me, se quello che ascolta o quello che aleggia. Mi riunifico giusto a tempo per dire: posso entrare in macchina? Ma certo, dice lui. Vedo che pensa: ma che cazzo c’entri a fare, che non ne capisci un cazzo di macchine? E io penso che ha ragione lui. Che ha ragione da quando sono entrato. Che hanno ragione loro. Loro chi? Loro e basta, non vedi che è uno di “loro”? Apro lo sportello ed entro e mi siedo. Chiudo la portiera e la C3, da dentro, mi pare un po’ angusta e oppressiva, tecnologica, tondeggiante, uterina. Ma profuma meravigliosamente di nuovo. Di plastica nuova. L’odore di macchina nuova mi dà un specie di botta epifanica (epifanica?) e mi vengono in mente di colpo le macchine nuove di mio padre, tutte rigorosamente Fiat: la prima Giardinetta e poi le varie Millecento e Seicento e Centoventiquattro e la mitica, polmonare, Milleotto. Tutto questo accade in un nanosecondo. Esco dalla C3 e dico che mi pare un po’ stretta e lui dice subito - cioè proprio immediatamente, che neanche riesco a finire la parola “stretta”, “...etta” - che non è vero, è una sensazione, che anzi è più spaziosa dei modelli analoghi delle altre marche, eccetera. Mentre parla mi guarda stancamente, come uno che pensi: ma che te lo dico a fare? Io penso: effettivamente che me lo dice a fare? Tanto la sensazione di stare stretto mica me la toglie. E poi non me ne frega una ceppa dei modelli analoghi delle altre marche. Mi accorgo che è la prima idea - e l’unica - che ho di questa macchina: “è stretta, mi pare stretta, voglio una macchina comoda”. Poi completamente a cazzo, senza una ragione plausibile, chiedo se posso vedere il motore. Mi guarda come uno che vorrebbe invece dire: eh? Però dice: certamente. E apre il cofano. Io mi metto a guardare il motore, come un idiota. Ammiro la compostezza di questo motore, il suo non essere parte delle viscere informi dell’organismo automobile, coi fili dappertutto e pezzi uno qui e uno là, com’erano i motori di una volta, quelli delle macchine Fiat di mio padre. Smetto quasi subito di guardare il motore mi giro e dico: bello. Il venditore di Citroen tace e guarda da un’altra parte. Poi, chissà perché, mi metto a farfugliare cose circa l’estetica dei motori, che ormai i costruttori pensano anche a quella, che un motore di macchina non è più solo la risultante di istanze meccaniche, funzionali, tecnico utilitarie e produttive, ma deve soddisfa’ l’occhio del cliente e che ai miei tempi – “che tempi?” penso mentre lo dico, cioè nello stesso istante – non era così e i motori erano brutti e sporchi e non erano certamente fatti per essere ammirati, eccetera. Quello lì mi osserva per la prima volta con un certo interesse, come a domandarsi: ma che cazzo dice? Poi subito capisce che sto farfugliando su cose di cui non capisco nulla e che è un semplice espediente per chiudere la visita e comincia farmi di sì con la testa. Ma mentre annuisce i suoi occhi dicono: cheppalle, ora vattene, dai, che devo finire di leggere il giornale. Chiedo un po’ di prezzi, lui me li dice con la solita aria di pensare che non li ho, i soldi. Mi informo su rateizzazioni e tassi e altre cazzate tipo l’aria condizionata e il lettore CD e l’ABS. Il cravattone-collettone-becco a papera-rasato-guardia del corpo, non riesce nemmeno più ad essere proprio cortese e io sto per uscirmene con un: mi raccomando non si sforzi di essere cortese. Dirlo sarebbe una tragica cazzata. Una di quelle cazzate che io amo dire: inutili, inopportune, indisponenti, irritanti e idiote. L’altra cosa che vorrei fare – ma è ancora più stupida - è tirare fuori il libretto degli assegni, che per fortuna non ho con me, e fare un assegno per l’intero importo della C3 a questo qui, solo per vedere la faccia che fa. Ma non avrei nemmeno i soldi sul conto. Poi finalmente – finalmente! - riesco dirmi che di questo commesso di macchine qui non me ne frega un cazzo, che non devo dimostrargli niente, figuriamoci, che la C3 non mi piace e costa troppo e altre cose così, in un nanosecondo. Esco e mi metto a correre sotto la pioggia di cacca degli storni acquartierati sui platani di Viale delle Milizie. Mentre esco, lui di sicuro pensa: ecco bravo, levati dalle palle.

Nessun commento:

Posta un commento