venerdì 22 ottobre 2010

Sfondi

Claude_Monet_PARTICOLARE_015 Claude Monet, Veduta del Tamigi (quale?), 1904, particolare Se fossi pittore dipingerei sfondi, solo sfondi, esclusivamente sfondi: stesure enigmatiche di colore a tutta tela – sì, userei tela e pennelli e colori a olio, me ne starei interamente rannicchiato nella tradizione disciplinare dello stendere pittura, gesto dopo gesto –, sfondi di ritratti inesistenti, colore che muta di gradiente, di tono, ma lievemente, così che lo sguardo, percorrendo la tela (tele rettangolari di proporzione aurea, tutte delle stesse dimensioni), nell’andare dal punto A al punto B risenta di un’impercettibile vibrazione e mutamento: in questo modo, se fossi bravo, l’intera opera dovrebbe restituire un senso di inutile e persa profondità spaziale, un dis-orientamento dello sguardo del tutto fine a se stesso, nella percorrenza di stesure anch’esse del tutto gratuite, com’è gratuito il nulla: se fossi pittore ogni mio rettangolo dipinto dovrebbe fungere da ostacolo, sia pure parziale, ridicolo, al fuggire del tempo: dovrebbe servire come opposizione ostinata al quotidiano conferimento di senso di cui abbiamo, solo apparentemente, bisogno: dovrebbe servire come evocazione di immagini presenti solo alle spalle di chi guarda, dunque fuori del quadro, invisibili, dunque immaginarie, inter-cambiabili: ritratti inesistenti di gente vera o inventata, rappresa nelle pose più diverse, dipinti con qual si voglia tecnica o stile, ma sempre invisibili: perché di visibile ci sarebbero solo questi sfondi, più o meno scuri, più o meno uniformi e profondi, più o meno diversi come saturazione e tono, ma forse uguali nella densità pittorica: grigi e grigio verdi, neri nerastri, profondamente neri, verdi con declinazione azzurrina, bluastri, ocra sfumati nel viola verso il basso, sfumati nel verde vescica verso sinistra, rossi e rossastri, rossi tenui tendenti gradualmente ad annullarsi nel grigio, dove puoi percepire un rosa, un azzurro, un violetto, pennellate inconsistenti di giallo, ancora rosso vermiglio, come fosse l’angolo di uno stagno dell’ultimo Monet, ritagliato con le forbici e montato a parte: se fossi questo tipo di pittore, dovrei essere molto bravo (non c’è più modo di diventarlo), avere tempo: dovrei essere solo, la mente sgombra come quella di un anacoreta all’ultimo stadio, i pensieri evanescenti come quelli di un monaco zen: dovrei darmi una disciplina ferrea, mangiare sempre la stessa cosa (mozzarella, prosciutto, insalata, mela), uscire per una passeggiata sempre alla solita ora, guardare solo tennis e moto-ciclismo in tv, oltre che buoni documentari su qualsiasi cosa, leggere lunghi romanzi epocali, interminabili: dovrei non vedere più nessuno: quest’ultima cosa già la sto facendo.

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