mercoledì 20 ottobre 2010

Stile

BRONZINO RITRATTO DA GIOVANE Stranissimo l’effetto che mi fa tutto insieme Bronzino, artista di cui finora non avevo focalizzato una sola opera, nel senso che niente mi era restato nella memoria come cosa sua (tranne l’affrescone di San Lorenzo, col martirio del santo). Benché le sue opere le conoscessi, avendole viste e apprezzate nei vari musei che ho visitato, non le associavo a lui: quindi a Palazzo Strozzi mi dicevo continuamente Ah, ma pure questo è suo! Se non avessi (in effetti non ce l’ho) nozione di cosa sia lo “stile”, a questa mostra ho avuto modo di rifletterci su anche se non certo di chiarirmela, perché tutto quello che vedo qui, che sia di Bronzino oppure no, è impregnato di “stile”. Per quanto si sia provato ad abolirla, sempre, in mancanza di termini più efficaci, torna la parola stile, così vecchia e astratta e consunta e non-sostituibile se non con formulazioni più complicate o parole composte… Ora, di solito la buona arte è stile, quindi dove sarebbe la novità? Beh, almeno per me, risiede nella percezione fortissima di una tensione tra forma naturale e forma stilistica. Cioè nella mancata coincidenza, o confluenza, dell’una nell’altra, come accade per altri grandi artisti prima e dopo di lui. Forse perché l’arte di Bronzino si declina al massimo livello nel ritratto, dove per statuto la somiglianza col soggetto è essenziale. O forse perché in lui è più percepibile un dover essere, cioè un dover dipingere, in modo divergente rispetto alla «forma naturale», come se prima di tutto contasse essere riconosciuto come autore, come produttore, piuttosto che come ri-produttore di realtà. Ma non è questa l’aspirazione di ogni artista? Certo che sì, ma il così detto «vero», in Bronzino sembra una sorta di nemico da battere e addomesticare alle ragioni dello stile, piuttosto che qualcosa che chiede di essere espresso attraverso lo stile. L’uso delle parole per dire le impressioni visive è sempre ambiguo e arbitrario e impreciso, supponente e ingenuo, discutibile, contestabile: ma qualcosa ogni tanto bisogna dire, per riuscire a trattenere qualcosa, altrimenti in poco tempo tutto si dilegua e scompare dalla mente (in apparenza)... Stile che d’altra parte non è suo, cioè caratteristico e peculiare del Bronzino ipse, che invece lo desume e lo condivide innanzi tutto col suo maestro diretto (e amico) Jacopo Pontormo e con altri artisti coevi del medesimo orientamento. Tutti costoro, come si sa, operano in un’area spazio-temporale dominata dalla figura soverchiante di Michelangelo: in mostra ci sono due opere realizzate direttamente su suoi cartoni. Mi mancano nozioni basilari per fare affermazioni come quella che segue e tuttavia mi sembra di poter dire che l’arte di Pontormo, come quella di Bronzino sono, per molti aspetti, molto lontane dall’opera di Michelangelo, al punto che è difficile per il profano percepire evocazioni michelangiolesche nel lavoro dei manieristi, che vadano al di là di alcune scelte cromatiche e, in alcune figure, anatomiche e di postura. Ma nella serie magnifica dei ritratti, l’influenza del super-maestro non riesco a vederla in nessun modo, mentre ovviamente vedo quella, decisiva di Pontormo. Dopotutto (per me) questa questione non è molto importante, mentre lo è la (mia personale) percezione, nella pittura di Bronzino, del conflitto in-sanato tra realtà e stile, nella necessità di dare, soprattutto nei ritratti, una risposta sia al problema della vero-simiglianza che allo stato della disciplina pittorica dei primi decenni del Cinquecento. Mi rafforzo nella convinzione che l’opera di ogni artista che abbia coltivato a lungo e con passione la propria disciplina, prendendo nozione del lavoro altrui e discutendone incessantemente, non possa che essere in primo luogo una risposta (la sua risposta, in quel momento) allo stato di quella disciplina e solo in seconda istanza un’interpretazione di dati esterni & reali: questo vale per ogni forma d’arte. Tuttavia, se da tutto questo non emerge il talento individuale, ogni conflitto ci appare inerte e artificioso, ogni scelta stilistica risulta appiccicaticcia, come accade nei «minori» di ogni epoca. Ma in Bronzino il talento rifulge con una tale forza da soverchiare qualsiasi altra percezione et considerazione, ed è tutto lì dentro, nella sua gelida e stupefacente pittura, lucida et polita, qui e là quasi metallica, priva di quelle tracce visibili del gesto pittorico che vado sempre a cercare, nei quadri, piena di particolari resi più o meno allo stesso livello del resto e però senza minuzia calligrafica, ma protagonisti della scena allo stesso livello dei soggetti ritratti e in questo caso si tratta di potenti e ultra-potenti dell’epoca… Sempre vado a rovistare con lo sguardo le opere pittoriche nei musei, per trovarvi e osservarvi quello che per me è lo specifico della pittura, cioè il colpo di pennello, oppure l’intreccio di innumerevoli pennellate sottili, oppure la qualità della stesura piatta metti di uno sfondo, con poche ma talvolta sublimi, variazioni cromatiche, oppure la resa impressionistica di un particolare fatto per essere osservato da lontano, oppure la densità più o meno coprente della materia pittorica: per farlo mi devo avvicinare all’opera facendo suonare i cicalini di allarme, e allora giunge il custode che mi redarguisce (tedeschi i più severi), ma io quello che dovevo vedere l’ho già visto...

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