martedì 23 novembre 2010

Sogno dell'amico morto

C’erano delle cose da fare prima di andare via. Ma non si riuscivano a finire. Niente si conclude, il tempo stringe, qualcosa sta per partire e noi lo perderemo e qualcuno ci rimprovererà per averlo perso, questo qualcosa. Quindi affrettarsi. Camminare via di qui a passo svelto, lunga la spiaggia, sulla battigia dove la sabbia è più scura et salda. Vieni che facciamo tardi, scavalcare la gente stesa al sole, ragazze, coppie allacciate, con un balzo. Ma il cielo è coperto, non fa caldo, qualcosa sta per finire, qualcos’altro partirà per chissà dove, occorre andare via di qui, via da questa spiaggia. No, no, non voglio tornare indietro, lo so quello che abbiamo dimenticato, ma ti prego tornare indietro no, non è possibile. Quella cosa lasciala. Lo so che è importante, ma lasciamola lì, andare via di qui è prioritario. Non lo vedi il buio che avanza? Non ti accorgi di quanto siamo stanchi a furia di correre? Ancora non sai quanto è brutta questa città di mare? Ancora non ti accorgi di quante volte abbiamo fatto di corsa questa spiaggia piena di meduse morte, di barche insabbiate, erose, di gente allegra che saltella nell’acqua calda, torbida, del bagnasciuga. La vita umana è a esperienza limitata, non possiamo sprecarla così. Dicevi che non ti importava perché eri già morto. In effetti era così, ma non pareva. Io lo sapevo, ma ti trattavo come fossi vivo, anzi eri tu a trascinarmi avanti e indietro mentre qualcosa, lassù dietro le case della città alta, stava per partire e noi l’avremmo perso, treno o pullman o chissà cos’altro, noi l’avremmo perso. Ormai questo era sicuro mentre intorno a noi aumentavano le macerie e niente poteva più essere o tornare nuovo, niente poteva più riprendere i suoi smaglianti colori originali, i mosconi di salvataggio erano di un rosso cupo, quasi nero, gli ombrelloni grigi, la canotta del bagnino era blu sporco, spento, sbiadito. La faccia del bagnino scura di sole, piena di rughe. Tutti quei bagnini che conoscevo per nome sono tutti morti, tutti andati via a nuoto, verso il largo, nuotarono assieme oltre la linea dei frangenti di libeccio, oltre la diga foranea, verso un orizzonte incerto sfilacciato, da cui spuntava la sommità delle Isole. Per questo tutto diventava scuro sulla spiaggia, perché non c’erano più vecchi sapienti calmi bagnini a governarla, anche uccidendo pipistrelli, se occorreva. In effetti che ci faceva il pipistrello nel sole di quella mattina a mezzogiorno? Spaventava le signore e le ragazze che indossavano antichi bikini classici, svolazzando basso sopra le loro teste. Da dove veniva? Fu un bagnino, anziano imperturbabile onnisciente (lui sapeva tutte le cose della spiaggia, sapeva anche dei pipistrelli a mezzogiorno), che con un asse di legno fece un mezzo salto e, Tac!, lo colpì al volo. La botta l’aveva mezzo ammazzato, la sua colpa era di essere un pipistrello a mezzogiorno. Era nero e piccolissimo, sulla sabbia rovente. Qualcuno l’aveva preso in mano, le ali quasi trasparenti, il minuscolo grugno informe, le grosse orecchie, gli occhi chiusi. Sparì alla vista nel capannello di gente. Noi andavamo via di corsa senza più speranza di prendere la corriera. Saremmo rimasti lì, sul bagnaticcio lercio della battigia, in mezzo a quelle macerie.

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