martedì 14 dicembre 2010

Amoi e Baronisi

Le grandi rocce che emergono dal mare, l’estraneità della forma che è capace di assumere la terra, la materia secca, rispetto alla non-forma dell’acqua, della materia umida. Ma non è neanche vero che l’acqua non ha una forma, anzi: la sua capacità di adattarsi, di risentire della forza gravitazionale schiacciandosi sulla superficie del pianeta, ci fornisce la preziosa nozione di orizzonte, cioè della linea retta orizzontale. Ed è sempre usando l’acqua e osservando la postura dell’acqua che ancora oggi noi definiamo ciò che è orizzontale, ciò che è «in bolla», cioè parallelo all’orizzonte e perpendicolare alle più brevi e dirette linee di forza che virtualmente ci scaraventano verso il centro della Terra. Per questo, le rocce emergenti dal mare, le isole, soprattutto se osservate da lontano, ci appaiono come forme irregolari dominate apparentemente dal caos, ma innestate su una superficie liscia, regolare, compatta, geometrica. Fredda e azzurra l’acqua, calda e bruna la terra. Trasparente l’acqua, attorno alle rocce isolate, precipita nel nero sconosciuto della profondità, dove si trovano le radici immerse di quell’oggetto singolare, estraneo al contesto, che è un’isola. Opaca invece la terra & porosa, solida, non-penetrabile. Al piede delle falesie dove il mare respira incessantemente, vedi il secco a contatto con l’umido, l’aria che si mescola all’acqua e viceversa, vedi che questa zona incerta e impura è un’opportunità per milioni di esistenze infime che incrostano la roccia, vi si aggrappano, brulicano. Vedi che lo scoglio – se ne sta tra sé e sé a una certa distanza dalla terra madre, isolato nell’acqua profonda – vedi che quello scoglio è ormai un mondo autonomo, una testimonianza disperata di ciò che è terrestre persa nell’universo dell’acqua. Vedi i piccoli cespugli, i ciuffi arditi di vegetazione crescere nelle fenditure, lassù, in lato verso la sommità, dove il salmastro arriva più rarefatto a distruggere e bruciare quel poco di vita che attecchisce, dove le cuspidi di roccia si imbiancano del guano degli uccelli marini, dove qualche falco della regina ha stabilito il suo nido e lo difende ferocemente da ogni intruso. Penso ad Amoi, la Grande Roccia Spaccata che se ne sta nel vento, su, all’imboccatura dello Stretto e, se sei in barca, sempre devi decidere se vuoi mettere la prua all’esterno o all’interno, cioè nel passaggio tra scogli più piccoli e gregari come fossero una scia di frammenti lasciata dal distacco di Amoi dalla testa nord dell’Isola, a farsi sentinella orientale di quel passaggio di mare, ma profondo, mentre a ovest, proprio in mezzo alla risacca di ponente c’è la cuspide di Baronisi, che sorveglia i branchi di tonni e di ricciole in autunno e in primavera quando si insinuano veloci in quel discontinuo traumatico della terra e una qualche ragione l’avranno, per farlo. Lì è dove i cormorani accoccolati sui massi emergenti presso la scarpata si confondono col grigio delle rocce, annerito dalla crosta di molluschi e alghe, indifferenti al vento che spazza il mare e solleva mulinelli di acqua nebulizzata, schiaffeggiandoli sul volto enigmatico degli uccelli come per urlargli in faccia, Via! Cosa cazzo ci fate qui? Andate via, cercatevi un posto migliore per vivere!

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