venerdì 24 dicembre 2010

Catturare e mangiare gli antenati


Un’enorme ricciola di una quindicina di chili, l’occhio ancora lucido, vigile, il corpo paccuto, che pare ancora pronto allo scatto, i muscoli tesi sotto la pelle grigio rosata a squame minute, tipica dei pesci pelagici et veloci, se ne sta sdraiata su un fianco, in disparte, con la pinna caudale che sporge da un bancone di marmo inclinato verso la clientela, fortemente illuminato e dotato di canalette perimetrali atte a raccogliere acqua mista a squame e sangue – eccedenze di lavorazione, come le interiora gettate invece in enormi secchi assieme al loro contenuto, cioè ai residui di pasti talassici: bianche ranfe di polpo a brandelli & semi-digerite, sacche piene di melme brucate sui fondali, aculei di ricci strappati agli scogli e triturati dalle placche palatali degli sparidi, morsi di asportazione dal corpo di  creature vive e semoventi, pesci ingoiati interi, assieme ai parassiti che ancora formicolano, si torcono nelle fredde trippe di scarto – questa ricciola, dicevo, mi appariva stamattina integra e nuda, tornita giovanile sexy, in mezzo allo sfasciume ittico che la circondava e che come al solito mi faceva pensare al pescato che si affastella in certe nature morte napoletane del Seicento.
Lì accanto un vecchio dentice prossimo alla putrefazione, ma ancora inspiegabilmente costretto ad una posa ricurva da un pezzo di spago teso tra le branchie e la coda, e poi un salmone ormai quasi interamente ridotto in tranci. La gente si accalcava sotto le lampade – come intorno a un tavolo anatomico durante una lezione appunto di anatomia, del tutto indifferente al bios martoriato che aveva sotto gli occhi, al massacro dei propri antenati turpemente esibito – si accalcavano a dire Mi mette via questa spigola? Ed effettivamente c’erano varie spigole sul banco, tra le quali ne spiccava una enorme, con le branchie rosse di un sangue sieroso, che colava lievemente giù per la discesa del marmo, per finire, come si diceva, nella canala di gronda. Fratelli pesci, mi veniva da pensare. A me che ero pure lì per un paio di tranci di nobile pesce spada, da cucinare stasera previa preparazione di spaghetti mescolati a piccoli molluschi bentonici, detti vongole veraci, ormai rari, che ieri estrassero per me da un bacile pieno d’acqua, un mucchio di gusci semiaperti da cui si protendevano decine di sifoni bianchi. Solo quando il pesce selvaggio sarà del tutto estinto, allora smetteremo di cacciarlo in massa e ci assuefaremo a quello di allevamento, come da secoli abbiamo fatto con la carne di mucca. Intanto sarebbe bene sequenziare e mettere via il codisce genetico delle specie che sicuramente si estingueranno, non solo per poterli ri-produrre in futuro, ma per conservare memoria genetica di come eravamo fatti noi, un tempo.  

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