Le origini di quello che poi diventò il Bar Porcacci si perdono nel tempo, ma sicuramente non sono anteriori all’urbanizzazione della Valle delle Argille, che risale a quaranta anni fa, se non prima. La Valle pare sia stata un tempo, cioè 350.000 anni fa, il letto del Fiume. Ed è per questo che è venata di argilla buona per i mattoni. Ed è per questo che è cosparsa dei ruderi di antiche fornaci. Non ostante che l’espansione della Città sia passata anche di qua, e massicciamente, la Valle non si è mai lasciata domare del tutto.
Le sterpaglie incolte dove si cela qualche baracca, le greggi che ancora pascolano a pochi metri dal Nodo di Scambio, i falchi, le cornacchie, i pappagalli perfino, i sentieri che si snodano nei cespugli percorsi da uomini e donne che vivono in stadi di civiltà anteriori al nostro, eccetera, tutto questo ci dice della riottosità di queste lande a farsi parco urbano, di una loro inclinazione verso uno Stato di Natura che, sotto sotto, assedia la Città intera.
Di sicuro si sa che il proto-Bar Porcacci era un tempo condotto da una signora di colore, forse una somala, un’etiope, perfettamente padrona della lingua italiana, gentile e spiritosa. Il locale non aveva nulla dell’odierna pseudo-fichetteria, era solo un baraccio spoglio sporco e terminale, come ce ne sono tanti, con la vendita tabacchi, la vetrina frigorifera del latte, il cassone rosso dei gelati Algida, niente sedie e tavolini fuori. Per me era confortante, sapeva di Roma, di periferia, e di alcune altre cose che conosco di questa città. Mi ci fermavo solo per bere il suo caffè pessimo e ogni volta provavo sensazioni buone e cattive allo stesso tempo. Buone per i motivi suddetti, cattive per via del gruppo di ragazzi che vi si riuniva, i Parlanti di Calcio, che stazionavano lì per praticamente tutta la giornata. Era la mono-tematicità dei loro discorsi, impermeabili a qualsiasi altro argomento e accadimento che non fosse il Calcio, a darmi noia. Se gli avessero detto che un meteorite stava per distruggere la Terra, loro avrebbero continuato imperterriti a discutere dei nuovi acquisti della Roma. Sì, della Roma, perché la loro mono-tematicità si restringeva a una sola squadra. Tutti romanisti, erano. Questo gruppo aveva anche un suo punto di ritrovo fuori del bar, lì vicino, in una strada laterale, una specie di muretto dove sedevano a discutere di calcio dopo-cena, fino a notte fonda. Ora sono quasi tutti andati via, cresciuti, scomparsi. Ne è rimasto solo uno, il Rosso. Il Rosso per anni era stato lì, felice, dentro a quel bar e al suo gruppo di giovani Parlanti di Calcio. Poi piano piano, chi si è sposato, chi se n’è andato, il Rosso è rimasto solo. Andata in pensione la signora che gestiva il proto-Bar Porcacci, il Rosso per un po’ ha seguitato ad appoggiarsi lì, poi, con l’avvicendarsi dei vari gestori, si vede che si è sentito respinto, estraneo, e non c’è più entrato. Adesso è cresciuto molto, sta perdendo i capelli, lo vedo spesso seduto da solo sul vecchio muretto, che si legge il Corriere dello sport. Oppure fa finta e in realtà aspetta che qualcuno dei vecchi amici suoi si rifaccia vivo. Ogni volta che gli passo davanti vorrei fermarmi e dirgli Ma che cazzo fai ancora qui? Non ti accorgi che ormai sei una figura patetica? Vorrai prendere atto una buona volta che non è più l’Anno dello Scudetto di Capello? Che la Roma è cambiata? Che Totti sta per levare le tende per anzianità?
Nessun commento:
Posta un commento