giovedì 27 ottobre 2011

Le origini del bar Porcacci

Le origini di quello che poi diventò il Bar Porcacci si perdono nel tempo, ma sicuramente non sono anteriori all’urbanizzazione della Valle delle Argille, che risale a quaranta anni fa, se non prima. La Valle pare sia stata un tempo, cioè 350.000 anni fa, il letto del Fiume. Ed è per questo che è venata di argilla buona per i mattoni. Ed è per questo che è cosparsa dei ruderi di antiche fornaci. Non ostante che l’espansione della Città sia passata anche di qua, e massicciamente, la Valle non si è mai lasciata domare del tutto.
Le sterpaglie incolte dove si cela qualche baracca, le greggi che ancora pascolano a pochi metri dal Nodo di Scambio, i falchi, le cornacchie, i pappagalli perfino, i sentieri che si snodano nei cespugli percorsi da uomini e donne che vivono in stadi di civiltà anteriori al nostro, eccetera, tutto questo ci dice della riottosità di queste lande a farsi parco urbano, di una loro inclinazione verso uno Stato di Natura che, sotto sotto, assedia la Città intera. Di sicuro si sa che il proto-Bar Porcacci era un tempo condotto da una signora di colore, forse una somala, un’etiope, perfettamente padrona della lingua italiana, gentile e spiritosa. Il locale non aveva nulla dell’odierna pseudo-fichetteria, era solo un baraccio spoglio sporco e terminale, come ce ne sono tanti, con la vendita tabacchi, la vetrina frigorifera del latte, il cassone rosso dei gelati Algida, niente sedie e tavolini fuori. Per me era confortante, sapeva di Roma, di periferia, e di alcune altre cose che conosco di questa città. Mi ci fermavo solo per bere il suo caffè pessimo e ogni volta provavo sensazioni buone e cattive allo stesso tempo. Buone per i motivi suddetti, cattive per via del gruppo di ragazzi che vi si riuniva, i Parlanti di Calcio, che stazionavano lì per praticamente tutta la giornata. Era la mono-tematicità dei loro discorsi, impermeabili a qualsiasi altro argomento e accadimento che non fosse il Calcio, a darmi noia. Se gli avessero detto che un meteorite stava per distruggere la Terra, loro avrebbero continuato imperterriti a discutere dei nuovi acquisti della Roma. Sì, della Roma, perché la loro mono-tematicità si restringeva a una sola squadra. Tutti romanisti, erano. Questo gruppo aveva anche un suo punto di ritrovo fuori del bar, lì vicino, in una strada laterale, una specie di muretto dove sedevano a discutere di calcio dopo-cena, fino a notte fonda. Ora sono quasi tutti andati via, cresciuti, scomparsi. Ne è rimasto solo uno, il Rosso. Il Rosso per anni era stato lì, felice, dentro a quel bar e al suo gruppo di giovani Parlanti di Calcio. Poi piano piano, chi si è sposato, chi se n’è andato, il Rosso è rimasto solo. Andata in pensione la signora che gestiva il proto-Bar Porcacci, il Rosso per un po’ ha seguitato ad appoggiarsi lì, poi, con l’avvicendarsi dei vari gestori, si vede che si è sentito respinto, estraneo, e non c’è più entrato. Adesso è cresciuto molto, sta perdendo i capelli, lo vedo spesso seduto da solo sul vecchio muretto, che si legge il Corriere dello sport. Oppure fa finta e in realtà aspetta che qualcuno dei vecchi amici suoi si rifaccia vivo. Ogni volta che gli passo davanti vorrei fermarmi e dirgli Ma che cazzo fai ancora qui? Non ti accorgi che ormai sei una figura patetica? Vorrai prendere atto una buona volta che non è più l’Anno dello Scudetto di Capello? Che la Roma è cambiata? Che Totti sta per levare le tende per anzianità?

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