venerdì 1 luglio 2005

Giovanni Boldini

Non ostante l’orrore che mi provocano i tempi in cui vivo, o forse proprio a causa di questo orrore, mi va di dilungarmi su cose marginali et curturali. Vista mostra grossa di Giovanni Boldini, alla GNAM di Roma. Sono perplesso, al di là di ciò che mi è, o non mi è, piaciuto. Breve premessa. Ormai tutti i musei d’arte moderna del mondo, per quello che ne so, danno una lettura dei valori in campo, nell’arte del Diciannovesimo et Ventesimo secolo, più o meno identica.
All’interno di questa sostanziale identità di valutazione, varia solo il peso delle specificità nazionali, che ciascun paese tende naturalmente a sopravvalutare. Le grandi istituzioni museali brulicano di Cézanne e Van Gogh e Monet e Manet, Turner, eccetera, ma non brulicano di Boldini, non ostante Boldini (1842-1931) abbia goduto in vita di enorme fama. Se ne deduce che la vicenda di Boldini, che possedeva comunque un talento mostruoso, benché complessa, non occupa un posto rilevante nella catena dei valori che è alla base del paradigma dell’arte moderna. Vale a dire che Boldini non è inseribile nella doppia mainstream, impressionista e simbolista, che sta alla base del racconto dell’arte moderna. Cioè non gli interessa fervidamente sperimentare, ma guadagnare soldi. Ragione per cui Boldini (alcuni nostri critici non sono d’accordo) non varrebbe sostanzialmente quasi nulla. Possiamo concordare? Secondo me, sì. Ho guardato e riguardato con grande interesse questi quadroni boldineschi – agli inizi dipingeva tele manierose di piccolo formato – e ne ho tratto alla fine un senso di nausea. Misto ad ammirazione tecnica, soprattutto per i pastelli. Al di là dell’adesione ad un giudizio di valore condiviso, che non è certamente obbligatoria, cos’ha Boldini che non va? Per me è triste, cinico, claustrofobico, venduto. Sa di chiuso. Come sa di chiuso quel suo colore ricorrente, tra il grigio e il beige, che domina, assieme ai colpi di bianco, tutti questi suoi ritratti di dame di lignaggio e ricchi rampolli. Quel colore dice molto sul sistema di valori che suppongo dominasse in quel mondo di ricchezze internazionali, cui Boldini aderisce, si direbbe con amarezza, ma senza vero senso critico, né voglia di una vera penetrazione psicologica. Le sue pennellate vorticanti provocano sorpresa e ammirazione, sulle prime,. Poi capisci che sono fini a sé stesse e che al più vogliono generare un sentimento, per così dire, di eleganza, mostrandosi al passo con la pittura emergente dei suoi tempi. Ma magari mi sbaglio. Solo un quadro non mi passa di mente. Si intitola La toilette e ritrae seminuda una delle sue amanti in un interno, mentre con un tovagliolo si asciuga il culo, forse dopo un’abluzione. La gamba destra della donna, ripresa di spalle, ma col busto in torsione, si apre leggermente, poggiando sulla punta di un piede inarcato, a facilitare la penetrazione del panno nel solco tra i glutei. Contrariamente ad analoghe figurazioni di Dégas e di molti altri, questo è un quadro esclusivamente, direi torbidamente & clamorosamente, di sesso. Nessuna luce entra dalla finestra per bagnare plasticamente il corpo femminile, come nei pastelli di Dégas. Qui c’è solo desiderio e sentimento di possesso, tra pittore e modella c’è un rapporto privato e carnale, e si vede. Bello.

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